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Il glucosio nel sangue si mantiene costante grazie al bilanciamento tra insulina e altri ormoni, variando in risposta all’alimentazione e al digiuno.
In questo articolo vedremo le diverse opzioni terapeutiche per il diabete di tipo II, basate sull’uso di analoghi o inibitori delle incretine, che sono ormoni che stimolano la secrezione di insulina e riducono quella di glucagone.

La concentrazione di glucosio nel plasma (glicemia) è costante e pari a 75-100 mg/dl di siero; in condizioni normali, nonostante la discontinuità di introduzione del glucosio con l’alimentazione, essa si mantiene in equilibrio per la capacità dell’organismo di utilizzare glucosio nei periodi di glicemia elevata e produrlo invece quando viene meno l’apporto alimentare. Questo è il risultato di uno stretto controllo ormonale: l’insulina tende ad abbassare la glicemia, mentre il GH (acronimo di growth hormone), conosciuto anche come somatotropina od ormone somatotropo (STH) e il glucagone ad alzarla. Altri ormoni in grado di aumentarla sono i glicocorticoidi e l’adrenalina che intervengono in casi di digiuno protratto e stress. L’effetto degli ormoni sulla omeostasi glicemica non dipende solo dalla loro concentrazione assoluta, ma soprattutto dal bilanciamento con le concentrazioni degli ormoni loro antagonisti.

A seguito dell’introduzione di cibo il glucosio viene assorbito dall’intestino, e la sua concentrazione nel sangue tende ad aumentare nell’arco delle prime due ore; in particolare al termine della prima ora si ha un picco di glicemia che non dovrebbe superare i 160-180mg/dl. Il superamento di tali valori non avviene in quanto contemporaneamente si attiva la secrezione dell’insulina, con analogo andamento. Al termine delle due ore i valori di glicemia diminuiscono fino al raggiungimento dei 120mg/dl, e continuano a diminuire pur mantenendosi a livelli leggermente superiori a quelli basali fino alle 4h dal pasto. Le quantità di insulina diminuiscono nel tempo in modo analogo. Quando il digiuno si protrae oltre le 4 h, il tasso insulinemico diminuisce notevolmente e diventano allora preminenti gli effetti degli ormoni antagonisti allo scopo di mantenere costante i livelli glicemici; essi stimolano la glicogenolisi e gluconeogenesi – quest’ultima viene avviata lentamente mentre si esauriscono le scorte di glicogeno epatico. Nella situazione di digiuno protratto, il 60% circa del glucosio prodotto dal fegato serve al metabolismo cerebrale, mentre il rimanente viene utilizzato dagli eritrociti e dai muscoli. L’altro effetto degli ormoni antagonisti, glucocorticoidi e GH, è rappresentato dallo stimolo della lipolisi, con aumento in circolo di acidi grassi vengono identificati con il nome di acidi grassi liberi (FFA, dall’inglese Free Fatty Acids) che vengono utilizzati a scopo energetico soprattutto dal tessuto muscolare, con risparmio di glucosio; si ha anche un aumento nella concentrazione di Acetil -CoA che, trovandosi in eccesso, tende a dar luogo alla formazione dei corpi chetonici non essendo in grado di attraversare la membrana mitocondriale. I corpi chetonici sono dei substrati gluconeogenetici che vengono usati efficacemente sia dal muscolo che dal cervello.

Nel digiuno prolungato avviene anche la degradazione delle proteine, allo scopo di utilizzare lo scheletro carbonioso come substrato per la gluconeogenesi; il loro smantellamento causa una produzione di urea da parte dal fegato, e la sua eliminazione nelle urine.

Il diabete può essere visto come un’esasperazione del digiuno, e un’analoga condizione si può verificare nelle diete iperproteiche: esse sovraccaricano il fegato ed i reni, pertanto sono da sconsigliare soprattutto a lungo termine.

Il picco glicemico non dovrebbe superare i 160-180mg/dl: in caso di diabete il livello di glicemia sale, e si può osservare anche in modo retroattivo dalla presenza di glucosio nelle urine (glicosuria) che si verifica perché viene superata la soglia di riassorbimento renale. In questo caso la glicosuria non è da considerarsi un marcatore renale, mentre se la glicemia non risulta alterata essa è un marker di insufficienza tubulare.

Oltre alla condizione di iperglicemia, un’altra alterazione che possono subire i livelli di glucosio nel sangue è l’ipoglicemia; essa si verifica quando i valori glicemici si abbassano al di sotto di 40 mg/dl. Si può verificare sia come importante complicanza acuta del diabete scompensato, sia a seguito di diete esageratamente restrittive. In questi casi – trattandosi di una condizione di stress – entra in funzione un meccanismo di emergenza addizionale, costituito dalla secrezione di adrenalina, che attiva ulteriormente la glicogenolisi e stimola la produzione dell’ ormone adrenocorticotropo (AdrenoCorticoTropic Hormone, ACTH), conosciuto anche come corticotropina, da parte dell’ipofisi; l’ACTH è responsabile del rilascio del cortisolo, che attiva la gluconeogenesi.
In ultima analisi, una funzionalità corretta e bilanciata delle isole del Langherans, dell’adenoipofisi, della corteccia e della midollare del surrene, consente di mantenere l’omeostasi glicemica in modo rapido e efficiente.

In risposta ad un pasto contenente carboidrati, i soggetti non diabetici non solo aumentano la secrezione di insulina, ma riducono quella di glucagone dalle cellule α del pancreas. La ridotta secrezione di glucagone si accompagna ad una ridotta produzione di glucosio nel fegato, che insieme alla risposta insulinemica, causa un modesto aumento postprandiale della glicemia. Nel diabete tipo 2 la secrezione di glucagone non è ridotta e può addirittura essere aumentata per riduzione del GLP-1 (glucagon-like peptide 1).

Il diabete di tipo II può presentare diverse caratteristiche, come la ridotta produzione e secrezione di incretine, oppure un minor rilascio di GLP-1; il trattamento farmacologico si deve adeguare al caso specifico da trattare. Nel secondo caso si somministrano analoghi del GLP-1 che equilibrano la quota non liberata dall’organismo, mantenendo la secrezione anticipata di insulina; un’altra possibile azione riguarda l’inibizione degli enzimi che degradano le incretine, in modo da mantenerne una quota più elevata in circolo.

Alla glicemia alta consegue un’elevata liberazione di acidi grassi non esterificati, che causa un aumento dei trigliceridi, delle VLDL (Very Low Density Lipoproteins) e dei corpi chetonici in circolo.

L’iperglicemia può essere determinata da diversi fattori: nel tipo I, essa è dovuta ad un meccanismo di gluconeogenesi che si accompagna ad una mancanza di uptake di glucosio, laddove questo sia insulino-dipendente; vi è un incremento dei corpi chetonici circolanti dovuti all’azione cheto-genetica del fegato, che possono portare alla complicanza della chetoacidosi diabetica. Nel diabete di tipo II invece l’incremento della glicemia è causato da un trasporto difettoso e limitato di glucosio da parte dei tessuti insulino-dipendenti, e può presentare numerose complicanze.