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Il latte

Secondo la legge italiana per ogni specie di lattifere può essere adottata la seguente definizione di latte. Il latte è il prodotto della mungitura regolare, completa ed ininterrotta di animali in buono stato di salute, di alimentazione e in corretta lattazione. In questa definizione sono sinteticamente riportati i fattori che possono influire sui contenuti del latte che, almeno in termini quantitativi e in funzione, soprattutto, delle capacità produttive dei diversi animali, differiscono da specie a specie.

Composizione del latte vaccino

Il latte bovino è composto da acqua (87.5%), zuccheri (4.9%), grassi (3.6%), sostanze azotate (3.4%) sali minerali (0.8%) ed altri costituenti minori (vitamine, enzimi). 

Il tasso proteico del latte di vacca si aggira intorno al 3,2%; esso è variabile in funzione di molti fattori tra i quali la razza, il corredo genetico individuale, lo stadio di lattazione, il numero di lattazione, le caratteristiche della razione, lo stato sanitario della mammella, la stagione. 

Il latte bovino, così come quello degli altri ruminanti, presenta un’elevata proporzione di caseine (78%) rispetto alle sieroproteine (17%), al contrario di quanto si riscontra nel latte di mammiferi monogastrici (uomo, asino, cavallo). 

Dal punto di vista della composizione aminoacidica le caseine si presentano ricche di prolina e di aminoacidi fosforilati mentre risultano relativamente povere di aminoacidi solforati (soprattutto cisteina). Tuttavia, considerando le proteine del latte nel loro complesso, questa carenza viene compensata dalla ricchezza in aminoacidi solforati delle sieroproteine. 

La composizione in acidi grassi dei trigliceridi del latte vede una prevalenza di acidi grassi saturi (circa il 70%), a numero pari di atomi di carbonio. Gli acidi grassi più rappresentati sono l’acido palmitico (C:16, pari al 25-30% degli acidi grassi totali), l’acido stearico (C:18, pari al 12%), l’acido miristico (C:14, pari all’11% circa) e l’acido laurico (C12:0). Il rimanente 30% degli acidi grassi è costituito in massima parte da acidi grassi monoinsaturi rappresentati soprattutto dall’acido oleico (C18:1 cis 9, circa il 20% degli acidi grassi del latte). Gli acidi grassi polinsaturi a lunga catena (EPA e DHA) rappresentano meno dell’1% del totale degli acidi grassi. 

Caratteristica peculiare del grasso del latte di vacca e di altri animali ruminanti è la presenza di alcuni acidi grassi saturi composti da pochi atomi di carbonio (acidi grassi volatili) come l’acido butirrico (C4:0), l’acido caproico (C6:0), l’acido caprilico (C8:0) e l’acido caprico (C10:0). Questi forniscono al latte della specie che li contengono aromi e sapori caratteristici. 

Esiste poi un’altra categoria di acidi grassi che è peculiare del latte di vacca e degli altri animali ruminanti: gli acidi grassi a catena dispari e ramificati. Questi acidi grassi si ritrovano solo nel grasso del latte dei ruminanti in quanto provengono dal metabolismo dei batteri ruminali. I CLA possiedono una provata attività anticancerogena e antiaterogena, inoltre, sono dotati di proprietà immunostimolanti e sembrano svolgere attività anabolizzante. Il tenore totale di CLA nel latte è mediamente compreso tra 2 e 30 mg/g di lipidi e dipende da molti fattori tra cui principalmente la ricchezza della dieta dell’animale in acidi grassi polinsaturi. 

La componente minerale del latte (0.7-1%) nella specie bovina è caratterizzata dalle elevate concentrazioni di potassio (0.15%), calcio (0.12%) e fosforo (0.09%). Il calcio e il fosforo sono presenti in misure tali da determinare un rapporto ottimale con il calcio ( >1). 

Proprietà 

Pressione del sangue

Recenti studi hanno evidenziato una riduzione significativa della pressione arteriosa sistolica e diastolica mediante il consumo di latte a basso contenuto di grassi.

Funzione cognitiva

La funzione cognitiva può essere regolata, in una certa misura, dal cibo e il suo declino può essere rallentato adottando una dieta e uno stile di vita adeguati.

Una recente revisione sistematica ha identificato un’associazione diretta tra il consumo di latte e una migliore funzione cognitiva.

Sindrome metabolica e obesità

Per quanto riguarda l’obesità, pochi studi sono stati fatti, e da questi risulterebbe un ruolo protettivo nello sviluppo di obesità e sindrome metabolica, che tuttavia deve essere confermato da ulteriori ricerche.

Diabete

Secondo recenti studi il consumo di latte, in particolare quello a basso contenuto di grassi, ha proprietà utili a ridurre il rischio di diabete di tipo 2 negli uomini. 

In particolare 2 bicchieri al giorno sono stati associati a una riduzione del rischio del 38%.

É stato riportato un marcato miglioramento della glicemia nei pazienti diabetici di tipo 2 che hanno consumato latticini fermentati e yogurt con aggiunta di vitamina D.

È interessante notare che l’assunzione di lattosio, a differenza del glucosio e del fruttosio, non sembra essere associata all’incidenza del diabete. Infine, il latte intero aumenta il tempo medio di svuotamento gastrico rispetto al latte parzialmente scremato. Pertanto, il latte intero potrebbe apportare benefici nel controllo glicemico.

Salute delle ossa

Ci sono studi che associano il consumo di latte a una maggior densità ossea, ma non si può assolutamente affermare che chi beve latte sia immune da questo processo parafisiologico. Ci sono altri studi che attribuiscono l’osteoporosi al consumo eccessivo di latte e derivati secondo la teoria dell’acidificazione del sangue che attraverso l’attivazione di meccanismi tampone sottrarrebbe il calcio dalle ossa invece di depositarlo. Ma anche in questo caso non si può affermare che chi beve latte si ammala di osteoporosi. I processi fisiopatologici sono influenzati da numerose variabili, diverse a seconda della condizione dell’individuo trattato: in questo caso giocano un ruolo importante l’assorbimento intestinale di calcio, l’esposizione alla luce solare per la sintesi di vitamina D, l’attività fisica, il contributo ormonale soprattutto nelle donne, l’eccesso di sale nella dieta che provoca perdita di calcio.

Il latte è una delle principali fonti di calcio altamente biodisponibile nella maggior parte dei paesi sviluppati, con un contenuto medio di 1.150 mg / L. Il suo contenuto in altri minerali come fosforo, vitamine, iodio, proteine e potassio dovrebbe essere utile per la crescita dello scheletro e la resistenza delle ossa.

I ricercatori sostengono che il consumo di latte e di prodotti lattiero-caseari durante l’adolescenza migliora la densità minerale ossea senza un aumento del peso corporeo o un accumulo di grasso.

Secondo una revisione, l’assunzione di calcio tramite questa bevanda è un ottimo metodo preventivo per contrastare l’osteoporosi.

Cancro

Le ipotesi che collegano il consumo di latte con la carcinogenesi si basano su analisi delle singole componenti, come gli acidi grassi saturi e i coniugati (CLA) presenti solamente in questi prodotti, oppure il fattore di crescita IGF-I, estrogeni ed altri ormoni sessuali, pesticidi.

Per quanto riguarda gli acidi grassi saturi, il rischio di tumore al seno è presente in maniera significativa nella fascia dove la loro assunzione è importante – in particolare ogni incremento di consumo del 20% aumenta del 5% il rischio di sviluppare il tumore, soprattutto nei fenotipi ormono- dipendenti.

Gli studi sull’acido linoleico coniugato (CLA) in vivo sia sugli animali sia sull’uomo mostrano evidenze di una possibile protezione nei confronti del tumore alla mammella, ad eccezione che nelle donne in menopausa dove l’effetto è invece inconsistente (ma non negativo). 

Elevati livelli del fattore di crescita IGF-I sono stati associati ad un aumento del rischio di tumore: alcuni studi hanno valutato la sua presenza nel sangue di persone malate e si è riscontrata una significatività, anche se al limite, della correlazione livelli-rischio soprattutto nel post-menopausa. La presenza di IGF-1 nel latte però è di circa 4ng/mL, quindi anche ipotizzando un consumo esagerato di latte e latticini (ad esempio di un litro al giorno) si raggiungono comunque valori molto inferiori rispetto alla quantità che viene prodotta in maniera endogena dall’organismo.

Il fatto che livelli elevati di estrogeni in circolo aumenti il rischio di sviluppare il tumore alla mammella, ma anche all’ovaio e all’endometrio, è noto ormai da tempo dato il loro effetto sul controllo della crescita e della differenziazione cellulare; gli estrogeni presenti nella mammella della vacca possono passare nel latte ed avere quindi un effetto sui tumori estrogeno-dipendenti. 

La quota di ormoni ingeriti con i latticini tuttavia è comunque insignificante se confrontata con la quantità che viene prodotta dall’organismo dalla fase prepuberale fino a quella adulta, pertanto è difficile che il consumo di questi prodotti aumenti il rischio di sviluppare un tumore, sebbene sia biologicamente possibile. 

Le mucche potrebbero assorbire delle molecole come pesticidi (clororganici), inquinanti di origine industriale (policlorobifenile) ed aflatossine per ingestione ma anche per inalazione ed assorbimento cutaneo, e questi prodotti potrebbero essere secreti nel latte. 

L’associazione con il cancro è infondata: il cancro è una patologia multifattoriale, non associabile ad una sola causa (ed è il motivo per cui è difficile da curare).

Le ipotesi eziopatogenetiche sono tante e diverse ma non giustificano comunque il non consumo del latte, soprattutto perché i dati epidemiologici che correlano consumo di latticini e tumore alla mammella non mostrano nessuna evidenza. In generale è bene prestare attenzione alla qualità dei latticini, e ciò è sufficiente per tenere sotto controllo il rischio. I differenti studi considerano popolazioni che consumano latte in quantità differenti: in Italia il consumo è dieci volte inferiore a quello degli Stati Uniti, e pare che il rischio non derivi dal latte in sé ma dall’elevato apporto calorico e di grassi saturi. Bisogna considerare infatti la correlazione con gli altri nutrienti della dieta e vi è un’oggettiva difficoltà nel separare l’effetto (chi mangia formaggio potrebbe consumare altri alimenti ricchi in grassi che potrebbero far aumentare il rischio, chi mangia latticini a basso contenuto di grasso potrebbe mangiare più verdura). 

Il fabbisogno giornaliero di latte

Le linee guida per una sana alimentazione italiana consigliano una assunzione quotidiana di 2-3 porzioni tra latte e yogurt, ma sono raccomandazioni riferite alla popolazione generale. Sicuramente i bambini e gli adolescenti possono berne di più, essendo in fase di crescita e di sviluppo, rispetto ad un adulto sano, ma il reale fabbisogno di ciascun individuo deve tener conto di molti altri fattori oltre all’età, come ad esempio il peso corporeo, il profilo lipidico, il grado di attività fisica e la predisposizione genetica.

L’intolleranza al lattosio e l’allergia al latte

Gli aspetti patologici da valutare realmente nel consumo di latte e derivati derivano dal fatto che il lattosio può non essere tollerato da una buona percentuale adulti e che anche le proteine del latte possono dare reazioni allergiche.

L’intolleranza al lattosio si verifica se vi è una deficienza dell’enzima deputato alla sua digestione. In questi casi si consiglia di non consumare o limitare latte e prodotti caseari o di ricorrere ai prodotti che non lo contengono come latte privo di lattosio o formaggi molto stagionati.

Le reazioni allergiche invece si verificano quando il sistema immunitario riconosce come “nemiche” alcune proteine, presenti nel latte, sviluppando una risposta allergica all’alimento. In questi casi il latte non deve essere consumato.

Dal punto di vista pratico cosa consiglio

Usiamo la moderazione e l’equilibrio; non esistono super alimenti, in grado di farci guarire dalle malattie o alimenti che se assunti con moderazione ci danneggiano (salvo intolleranze o allergie). 

Ogni alimento va assunto nell’ambito di una dieta sana ed equilibrata perché da ognuno possiamo trarre benefici e l’eccesso può sempre provocare danno. 

Un bicchiere di latte al giorno, se non siete allergici, non potrà che farvi bene.