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La nutrigenomica è una disciplina che studia l’interazione tra geni e alimentazione. La dieta mediterranea è un modello nutrizionale ispirato ai modelli alimentari che sono stati diffusi in alcuni Paesi del bacino mediterraneo, ed è da ciò che deriva il nome, ispirato alle abitudini alimentari di Spagna, Italia e Grecia negli anni ’60. La dieta mediterranea rappresenta un vero e proprio modello di dieta sana e sostenibile, in grado di prevenire e contrastare il rischio di insorgenza di importanti patologie croniche come il diabete.

Il pubblico è fortemente interessato ad alimenti e bevande che siano in grado di prevenire malattie e promuovere la salute, incontrando al contempo i diversi stili di vita, culture e genetiche. Ci sono numerose evidenze che l’alimentazione sia in grado di agire su aspetti che modificano temporaneamente l’espressione genica umana, e queste molecole bioattive hanno riscontrato attualmente molta attenzione al fine ultimo di riconoscere, o produrre, i cosiddetti alimenti funzionali.

Lo studio delle interazioni fra la dieta e la genetica si suddivide in tre branche:

  • Nutrigenetica – studia come le variazioni genetiche possono modificare l’assorbimento ed il metabolismo dei nutrienti
  • Nutrigenomica – studia come l’assunzione di determinati cibi sia in grado di modificare l’espressione genica
  • Epigenomica nutrizionale – studia come la dieta influenza il DNA attraverso modifiche epigenetiche (non mutazioni ma variano l’espressione in maniera stabile ed ereditabile, seppur reversibile); particolarmente importante nella gestazione, aumentano determinati fabbisogni come per esempio quello dell’acido folico.
    I principali campi di interesse su cui ci si concentra in questo momento sono quello del cancro – molte terapie prevedono l’utilizzo di molecole di origine naturale o derivati, e una grande fetta della ricerca si occupa di individuarne di nuove – e sulle malattie degenerative, che riguardano spesso la perdita della stabilità di proteine che assumono strutture diverse da quella nativa.

Dieta mediterranea e relazione con malattie

Alla base della piramide alimentare che descrive la dieta mediterranea si trova l’attività fisica costante; è importante sottolineare come questa rappresentazione sia stata frutto di uno studio sulle popolazioni dell’Italia meridionale tra il 1950 ed il 1960, caratterizzate da una vita rurale con abbondanza di lavoro fisico e alimentazione basata soprattutto su alimenti di origine vegetale, tra cui molti amidacei. Pertanto anche questi alimenti figurano alla base della piramide, seguiti da prodotti dell’orto freschi. Una grossa limitazione della nostra società è l’avere poco controllo sulla qualità dei vegetali di cui ci nutriamo, poiché il loro consumo dev’essere rapido e questa caratteristica non si presta allo svolgimento delle indagini necessarie, come avviene invece per la carne che presenta dei tempi di frollatura; è al contempo anche vero che i prodotti vegetali più si allontanano dal momento del raccolto, più perdono potenziali nutrienti: l’ideale è l’orto casalingo, o l’acquisto di prodotti freschi da aziende agricole del territorio. Altri importanti consumi giornalieri sono quelli dell’olio di oliva in qualità di grasso buono, e dei derivati del latte, ricchi di proteine nobili e di più facile conservazione rispetto al prodotto fresco. Settimanalmente si vede l’assunzione di pesce e pollame, di uova e di dolci, mentre solo mensilmente quello di carne. Soprattutto quest’ultima caratteristica è molto difficile da riscontrare ai giorni nostri.

Tra le bevande, il vino rosso risulta essere ampiamente consumato: recentemente si è individuato che esso contiene delle molecole particolarmente importanti per la salute quali i polifenoli, ed in particolare il resveratrolo. Queste molecole bioattive si trovano in molti alimenti vegetali e in gran concentrazione nell’olio di oliva, solitamente in forma glicata oppure di agliconi ma si tratta di una categoria estremamente ampia di molecole (5000- 8000 circa); la loro assunzione sembra essere correlata con miglioramenti delle funzioni cognitive e prevenzione dell’invecchiamento, oltre che alla salute del sistema cardiovascolare.
Anche all’interno degli alimenti stessi queste molecole svolgono i ruoli biologici che si ritrovano in seguito esplicati anche dopo la loro assunzione; alcuni esempi sono l’attività antiossidante o antimicrobica, quest’ultima tipica in particolare della curcuma che viene ampiamente utilizzata nelle regioni del Nord Africa per migliorare la conservazione degli alimenti.
Ad oggi è pertanto universalmente riconosciuto come sia buona abitudine una dieta ricca di vegetali – frutta e verdura per 600g al giorno, con assunzione di circa 30g di fibra – e povera di carne e derivati animali. Gli alimenti che assumiamo sono importanti per il nostro benessere, in quanto possono avere diverso impatto sulla salute.

Il ruolo dell'epigenetica

Anche definita eredità dolce, l’epigenetica riguarda la variazione dell’attività dei geni senza modificarne la sequenza nucleotidica; si può attuare in diversi modi, come la metilazione diretta del DNA, le modifiche a carico degli istoni (metilazione, acetilazione, ..) oppure l’azione di RNA non codificanti (miRNA, ncRNA, ..).

I fattori che possono modificare il potenziale genetico umano sono molteplici e grazie ad essi siamo in grado di giostrare la nostra vita senza essere schiavi di una sorta di determinismo genico. Alcuni studi in particolare sono in grado di evidenziare l’importanza del suo ruolo.

Il primo riguarda le api. All’interno della loro società, la regina risulta essere di dimensioni più grandi delle operaie pur avendo il loro stesso identico corredo genetico; altre caratteristiche peculiari sono una maggior aggressività, la capacità di emettere suoni e di generare prole. La differenza risiede nell’alimentazione in quanto la regina fin dalla nascita viene posta in una cella fatta di pappa reale, della quale si nutrirà per tutta la vita. Questo alimento deve contenere pertanto uno o più elementi in grado di modificare a tal punto il fenotipo risultante, in particolare un inibitore delle DNA metilasi responsabili delle metilazioni de novo (di tipo 3ab). Non è ancora chiaro quale sia il meccanismo che le inibisce, si crede siano un acido grasso oppure una proteina i responsabili (pareri contrastanti).

Da questo esperimento si può spiegare l’ipotesi fetale formulata da David Barker nel 1986: secondo lo studioso infatti, le prime esperienze nutrizionali del feto sono molto importanti per la loro capacità di modificare l’epigenetica attraverso l’azione di tali metilasi de novo. Tali fattori nutrizionali rappresentano il primo contatto fra l’individuo e l’ambiente, ed anche nei primi anni di età l’impatto dell’alimentazione risulta essere piuttosto importante.

Numerosi studi effettuati su figli di mamme olandesi o cinesi il cui periodo gestazionale coincideva con quello di importanti carestie hanno evidenziato come i figli, nati sottopeso, durante la vita avessero un’importante tendenza a sviluppare obesità e malattie croniche –ad esempio intolleranza al glucosio, disfunzione delle cellule β del pancreas, diabete di tipo II ed insulino-resistenza.

Il secondo studio si occupa invece dell’espressione dell’axina nei topolini, proteina che ne caratterizza la coda; una sua mutazione dà luogo ad una torsione dell’organo, e la prole ne è più o meno predisposta a seconda della dieta della madre in gestazione. In particolare una scarsa assunzione di folati incrementa il rischio di presentare questa condizione, trattandosi di una mutazione dovuta all’inserimento nella sequenza di un retrotrasposone denominato IAP; quest’ultimo viene interessato da splicing alternativo in assenza di una sua metilazione, che può avvenire dipendentemente dai folati – donatori di metili.

Un’ulteriore evidenza può essere data dall’espressione del gene agouti nel topo: esso è presente in tutti i mammiferi, ma solitamente metilato. Quando viene espresso i topi presentano un mantello giallo, sono generalmente grassi e tendono a sviluppare patologie come il diabete ed i tumori. Anche questa condizione si esplica in caso di mancanza nella dieta di molecole donatrici di metili, quali i folati o la S-adenosil-metionina (SAM – metile attivo).

Esempi di alimenti coinvolti nella metilazione del DNA sono:

  • La vitamina B12 è necessaria alla sintesi della metionina;
  • La colina e la betaina presentano un azoto trimetilato;
  • Il butirrato è in grado di incrementare l’acetilazione degli istoni (deriva dal metabolismo della flora batteria intestinale – microbioma molto importante, fermentazione dell’amido resistente e della fibra solubile);
  • L’oleuropeina previene le malattie neurodegenerative;
  • La vitamina B6 si occupa di trasformare il tetraidrofolato in metilen-tetraidrofolato, ma anche del recupero dell’omocisteina – fondamentale per l’omeostasi ossidativa dell’organismo, in quanto la sua trasformazione in cisteina dà l’impulso per la sintesi del glutatione. L’incremento di omocisteina nel sangue potrebbe essere sintomo di patologia oppure concausa, ed è fattore di rischio per la formazione delle placche ateromatose.

La DNA metiltransferasi viene inibita da alcuni polifenoli come il selenio, la genisteina, le epigallocatechine e catechine, il resveratrolo e la curcumina; queste sostanze sono coinvolte anche nella sintesi di miRNA ad azione regolatrice che modificano l’espressione di geni oncosoppressori, e bloccano quella di oncogeni.

I topolini cui le madri in gestazione assumono bisfenolo A (BPA) – presente nelle plastiche di confezionamento di acqua ed altri prodotti, avviene un passaggio nell’alimento – sono predisposti ad una serie di patologie tra cui l’obesità; se però la madre assume sia il BPA che molecole come la colina, l’acido folico, la vitamina B12 e la betaina il figlio risulta essere sano (reversione degli effetti).

Una dieta sana pertanto risulta in grado di aiutare anche nei confronti di componenti che mettono a rischio la salute: alcune metilazioni o acetilazioni del DNA ricorrono spesso in diverse tipologie di tumori, ma i polifenoli sono stati riconosciuti essere degli ottimi regolatori di vie metaboliche e di segnalazione. Essi possono prevenire lo sviluppo di tumori, malattie cardiovascolari, neurodegenerative e diabete mellito.

La dieta può essere correlata con lo stress metabolico, del reticolo ed ossidativo; essi si trovano alla base dei processi infiammatori che tendono a diventare degli stati cronici che favoriscono l’insorgenza di malattie. Questi stati cronici tuttavia si instaurano in assenza di sostanze in grado di inibirli, quindi in casi di deficit nutrizionali o di malnutrizione, che sono invece capaci di regolare i sistemi di segnalazione reinstaurando l’equilibrio e di modulare l’epigenetica.