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Il ferro è un minerale essenziale per l’organismo, in quanto è coinvolto nel trasporto dell’ossigeno, nella produzione di energia, nella sintesi del DNA e nella funzione immunitaria. Il ferro si trova in due forme: eme e non-eme. Il ferro eme è legato al gruppo eme delle proteine come l’emoglobina e la mioglobina, ed è presente negli alimenti di origine animale come la carne, il pesce e le uova. Il ferro non-eme è presente negli alimenti di origine vegetale come i legumi, i cereali integrali, la frutta secca e le verdure a foglia verde. Il ferro non-eme ha una biodisponibilità inferiore al ferro eme, in quanto può essere influenzato da fattori che ne aumentano o diminuiscono l’assorbimento. Tra i fattori che aumentano l’assorbimento del ferro non-eme ci sono la vitamina C, il beta-carotene e gli acidi organici presenti nella frutta e nella verdura. Tra i fattori che diminuiscono l’assorbimento del ferro non-eme ci sono i fitati, gli ossalati, i tannini, il calcio e alcuni minerali come lo zinco e il rame. Per assicurarsi un adeguato apporto di ferro con la dieta, è importante consumare alimenti ricchi di ferro eme e non-eme, abbinando questi ultimi con alimenti che ne favoriscono l’assorbimento. Inoltre, è bene evitare di consumare bevande come il caffè, il tè e il vino rosso durante i pasti, in quanto contengono sostanze che possono interferire con l’assorbimento del ferro.

Il ferro in qualità di micronutriente riveste un ruolo di particolare rilevanza all’interno dell’organismo, essendo coinvolto nella biosintesi e nel funzionamento di molecole con importanti funzioni biologiche. Noi siamo in grado di assumerlo nutrendoci direttamente dei vegetali oppure della carne, in quanto gli animali a loro volta lo ingeriscono con la dieta.

Nonostante sia un elemento estremamente abbondante, il nostro organismo ha delle difficoltà ad assorbirlo dai nutrienti in quanto tende a presentarsi come ossido insolubile oppure ferro metallico. Queste due forme, particolarmente presenti negli alimenti lavorati, non sono biodisponibili perché il nostro organismo fa uso degli ioni Fe2+ oppure Fe3+: il primo è la forma maggiormente usata nei processi biologici, mentre il secondo, anche se più stabile, reagisce facilmente con l’ossigeno, con un elevato rischio di formazione di radicali liberi.

Proprio a causa della sua elevata reattività esso non si trova libero all’interno degli alimenti, essendo un rischio per qualsiasi tipologia cellulare.

Sebbene relativamente pericoloso, il ferro è un elemento essenziale all’organismo; la sua carenza è piuttosto diffusa all’interno della popolazione, ed ha serie conseguenze che sfociano nella sideropenia con sintomi di spossatezza, mal di testa ed elevata distrazione.

A causa della ridotta capacità di assunzione, solo il 10% del ferro ingerito viene incorporato dall’organismo; pertanto le quantità da ingerire sono nettamente superiori alla necessità dello ione per la sintesi delle molecole che lo richiedono.

Funzioni fisiologiche

Il ferro è alla base delle vie metaboliche che coinvolgono il metabolismo aerobio; mioglobina ed emoglobina contengono il gruppo eme, caratterizzato dalla presenza dello ione complessato in modo tenace attraverso 5 legami di coordinazione. La presenza di questo complesso non consente la creazione di radicali liberi, impedendo l’azione pro-ossidativa dello ione, che risulta comunque più tossico se il gruppo eme non si trova all’interno di una proteina ma libero; in questo caso lo ione Fe2+ si trasforma in Fe3+ dopo la cessione dell’ossigeno eventualmente legatosi.

Nonostante tale reazione sia impedita, l’emoglobina può subire un’ossidazione diventando metaemoglobina che presenta Fe3+, non in grado di legare l’ossigeno e quindi non funzionale – circa l’1% della proteina contenuta negli eritrociti si ritrova in questa forma. In questi casi l’intervento della metaemoglobinareduttasi ripristina lo stato di ossidazione dello ione, ma alcuni soggetti presentano una condizione di accumulo di tale molecola – metaemoglobinemia – per la cui manifestazione è sufficiente l’accumulo di una quantità di poco superiore di emoglobina ossidata. I sintomi di questa condizione sono stanchezza, ipossia ed un particolare colore blu della pelle, la cui intensità varia a seconda della gravità della patologia; le cause sono molteplici, un ruolo importante lo gioca la genetica con una ridotta o assente espressione dell’enzima, ma può essere dovuta anche all’assunzione di particolari farmaci (es. antipirina o fenacetina) oppure all’esposizione a sostanze tossiche (es. anilina).

Oltre all’emoglobina e alla mioglobina, altre proteine che presentano il ferro complessato nel gruppo eme sono i citocromi – a carico dei quali avviene il trasporto degli elettroni nel mitocondrio, e nei quali rivestono un ruolo particolarmente importanti i centri Fe-S cui prende parte il residuo della cisteina – e le emoproteine – metalloproteine contenenti un gruppo prostetico del tipo eme che può essere legato sia covalentemente che non.

Altre proteine contenenti il ferro appartengono al gruppo non-eme. L’abbondanza dello ione e la sua varia distribuzione sono il riflesso della sua capacità di catalizzare una grande varietà di reazioni, molto importanti a livello biologico.

Biodisponibilità del ferro

L’assunzione di ferro dagli alimenti è piuttosto difficoltosa; soltanto una percentuale che varia dal 3 al 10% del ferro ingerito infatti viene effettivamente assorbito dall’organismo. Conoscendo il contenuto del metallo negli alimenti, per valutarne l’effettivo apporto bisogna tenere in considerazione che nei vegetali esso non si trova complessato nel gruppo eme ed è quindi maggiormente difficile da assimilare rispetto a quello animale, dove è presente già in questa forma.

Per migliorarne l’assunzione ci sono degli utili consigli da sfruttare in cucina: l’acidificazione degli alimenti in particolare è in grado di incrementarne l’assorbimento sia dai vegetali che dalle carni, in quanto l’ambiente acido nei primi fa rilasciare lo ione dai complessi che lo contengono, nelle seconde lo fa dissociare dal gruppo eme; la combinazione con alimenti contenenti calcio invece è da evitare in quanto i due ioni si complessano riducendo i corrispettivi assorbimenti. La cottura e l’acidità dello stomaco favoriscono la solubilizzazione del metallo.

Nello stomaco, grazie all’azione dei succhi gastrici e di molecole riducenti, lo ione viene rilasciato e ridotto alla sua forma 2+, meno stabile ma anche meno reattiva; il pH alcalino dell’intestino invece favorisce la forma 3+, che dà dei composti insolubili che precipitano e ne impediscono l’assorbimento. Lo stomaco tuttavia non è in grado di assorbire i nutrienti, pertanto l’assunzione di ferro deve avvenire nel primo tratto dell’intestino.

Assorbimento del ferro

L’assorbimento del ferro è dunque deputato alla prima parte dell’intestino – il duodeno – e in minor quantità anche alla parte prossimale del digiuno, che non sono ancora caratterizzati da un pH particolarmente alcalino; una volta assorbito, lo ione deve percorrere tutto l’enterocita prima di raggiungere il liquido interstiziale e da qui il sangue. L’assorbimento avviene in maniera leggermente diversa se si tratta di ferro eme o ferro non-eme.
Nel secondo caso, lo ione presente sotto forma di Fe3+ viene solitamente trasformato in Fe2+ e quindi assorbito dalla cellula attraverso un trasportatore di ioni bivalenti, che opera un simporto assieme al rame o allo zinco. La riduzione dello ione avviene grazie all’azione di una ferrireduttasi intestinale (citocromo-b duodenale DCYTB) che probabilmente fa uso di ascorbato, ed è inducibile nei casi di carenza di ferro oppure ipossia. Il pool di ferro presente nell’enterocita viene complessato dalla ferritina, in modo da essere meno reattivo.
La ferritina ha un’attività ferro-ossidasica che trasforma lo ione dalla forma 2+ alla 3+. Essa ha grandi capacità di accumulo, agendo anche come deposito e potendo contenere tra 2000 e 4300 atomi del metallo sotto forma di ossido di ferro o fosfato ferrico; questo ruolo è particolarmente rilevante sia nel fegato che in altre tipologie cellulari. Si tratta di un deposito piuttosto dinamico che risponde bene alle esigenze dell’organismo, essendo in grado di effettuare un rapido rilascio delle scorte sotto stimolo di ascorbato o FMNH2.
Il ferro assorbito dall’enterocita deve essere distribuito all’organismo, quindi una sua quota esce dalla cellula grazie ad un trasportatore, la ferroportina. Questo trasportatore baso-laterale viene controllato dall’epcidina, un ormone sintetizzato dal fegato che ne provoca l’inibizione: il suo legame fa endocitare il trasportatore, che viene poi solitamente degradato da lisosomi.

Nel sangue e negli altri liquidi corporei lo ione transita legato ad una proteina di trasporto, la transferrina; essa lega il Fe3+, pertanto nel plasma lo ione viene convertito a questa forma per azione di un’ossidoreduttasi (ceruloplasmina). Il legame con il ferro necessita della presenza dello ione carbonato, e ogni molecola di transferrina è in grado di legarne due atomi.
La transferrina porta lo ione alle cellule che ne necessitano, rese pertanto in grado di captarla attraverso l’esposizione di un recettore di membrana per l’olotransferrina. Tale recettore è ubiquitario e provoca un’endocitosi del trasportatore attraverso la formazione di un endosoma che viene trasformato in lisosoma; l’ambiente acido della vescicola causa una liberazione del ferro dai suoi complessi, quindi quest’ultimo tramite ulteriori trasportatori esce dall’ organello raggiungendo il citoplasma, dove può essere utilizzato dalla cellula a seconda della sua necessità. In caso di eccesso di ione entra in gioco anche in questo caso la ferritina. Il recettore per l’olotransferrina viene solitamente riciclato.
Per quanto riguarda il ferro-eme, a livello intestinale è presente un recettore a lui dedicato; la sua fonte è di origine animale, e deriva dalla degradazione della mioglobina del tessuto muscolare. Il distacco o del ferro dall’eme avviene grazie a delle eme-ossigenasi che rompono il ciclo del gruppo liberando lo ione; il Fe2+ esce quindi nel citoplasma dove è presente la ferroportina, e va incontro ad un ciclo analogo a quello descritto in precedenza. La differenza sostanziale risiede nel fatto che godendo della presenza di un recettore dedicato, risulta più semplice assorbire il metallo in questa forma – quindi dalle fonti animali.

Fattori che possono limitare l’assorbimento i ferro:

  • Accelerato transito intestinale
  • L’achilia gastrica
  • Interventi chirurgici (bypass gastrico)
  • Sindrimi da malassorbimento
  • Fitati, fosfati
  • Preparazioni farmaceutiche usate come antiacidi
  • Tè e caffè (presenza di tannini)
  • Resezioni intestinali

Ciclo del ferro

Il ferro all’interno del nostro organismo è quasi tutto complessato in depositi oppure nella struttura delle proteine che ne fanno uso; questi complessi sono molto stabili, di conseguenza lo è anche il suo pool. In condizioni fisiologiche la perdita giornaliera dello ione è di 1-2mg, ed è dovuta principalmente alla desquamazione delle cellule dell’intestino, ad alcune microlesioni, o al ciclo mestruale nella donna che giustifica una maggior sensibilità alla carenza di questo nutriente nella dieta.

La maggior parte del ferro totale (2-3%) è contenuta negli eritrociti e nel midollo osseo, in quanto organo deputato alla loro maturazione; il legame dello ione alla protoporfiria – precursore del gruppo eme – avviene attraverso l’azione della ferroreduttasi. Per la sintesi dell’emoglobina sono necessari 20-25mg/gg di ferro, pertanto come le altre cellule anche i globuli rossi presentano i recettori per l’olotransferrina.

La vita media degli eritrociti è di 120 giorni, al termine dei quali essi vengono degradati nella milza, nel fegato oppure nel midollo attraverso l’azione dei macrofagi che inglobano le cellule senescenti e si occupano di distruggerli. Il ferro liberato dal gruppo eme viene riutilizzato attraverso dei meccanismi analoghi a quelli presenti negli enterociti, con un’efficienza pari al 90%.

Al termine del suo riciclo, il ferro viene ridistribuito a tutti gli organi, anche se la maggior quantità risiede nei distretti che ne fanno un maggior utilizzo.

Regolazione omeostasi del ferro

In caso di carenza di ferro è necessario incrementare il suo assorbimento per ripristinare le riserve, senza risentire della sua tossicità, mentre in caso eccesso il ferro deve essere eliminato e al contempo dev’essere ridotta anche la sua assunzione. Questi adattamenti sono resi possibili da una regolazione post trascrizionale a carico del recettore per la transferrina e della ferritina: i loro mRNA presentano delle sequenze IRE – zone che tendono a formare dei loop importanti per la sua regolazione, poiché possono sia impedirne la traduzione, sia inviarlo alla degradazione. Quando queste sequenze sono presenti al 5′, esse impediscono il legame con il ribosoma e di conseguenza la traduzione del trascritto, mentre se si trovano al 3′ l’mRNA viene stabilizzato non potendo legare la proteina responsabile della sua degradazione.

Un’altra tipologia di regolazione è a carico dell’ormone epcidina, prodotto dal fegato; essa agisce stimolando la degradazione della ferroportina, incrementando gli accumuli intracellulari di ferro e riducendone l’assorbimento intestinale. Quest’ultima funzione le è consentita in qualità di regolatrice della transportina, pertanto riduce l’assorbimento di ferro a livello degli enterociti, del fegato e degli eritrociti.
La sintesi di epcidina aumenta nei casi di sovraccarico di ferro o di infiammazione; i suoi livelli invece diminuiscono quanto c’è un’elevata sintesi di eritrociti, una carenza di ferro o una condizione di ipossia.

Il sovraccarico di ferro può presentare delle complicazioni non indifferenti, a causa della sua tossicità, tuttavia in condizioni fisiologiche è difficile che si presenti. In caso di elevata somministrazione acuta si possono avere fenomeni di vomito o diarrea, disturbi a carico del SNC, del fegato e dei reni. La somministrazione parenterale invece risulta maggiormente delicata in quanto può portare a condizioni di emosiderosi ed emocromatosi, quest’ultima può essere causata anche da alterazioni genetiche.