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Il diabete è una malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia dovuta a un deficit di insulina assoluto (tipo 1) o relativo (tipo 2).
Diagnosi e monitoraggio si basano sulla misurazione della glicemia, dell’emoglobina glicata e della microalbuminuria, oltre ai sintomi clinici come poliuria, polidipsia, stanchezza e perdita di peso.
Il diabete può causare danni a vari organi e tessuti, come il cuore, i vasi, il rene, l’occhio e il sistema nervoso, a causa della glicazione delle proteine, della formazione di AGE, dell’attivazione della via dei polioli e della protein-chinasi C.

Il diabete è un gruppo eterogeneo di malattie caratterizzate da un metabolismo anormale dei carboidrati, causato da un deficit di insulina assoluto (tipo 1) o relativo (tipo 2), che provoca iperglicemia.

Si tratta di un gruppo eterogeneo di malattie che pur avendo delle caratteristiche comuni, presentano diversa eziologia:

  • Diabete di tipo I: caratterizzato da distruzione delle β-cellule e solitamente comportante un deficit assoluto di insulina; si tratta di una malattia autoimmune la cui insorgenza avviene solitamente nel bambino fino all’età adolescenziale, ma esiste anche una forma idiopatica definita LADA (Latent Autoimmune Diabetes in Adult) che può presentarsi intorno ai 35 anni; essendo questa un’età di insorgenza condivisa con tipo 2, per la corretta diagnosi è utile sfruttare il Peptide C;
  • Diabete di tipo II: questa forma può variare da predominantemente insulinoresistente e relativamente insulino-deficente, a predominantemente insulino-deficente con insulino- resistenza; insorgenza nell’adulto favorita da fattori ambientali come l’obesità, la sedentarietà e la familiarità;
  • Diabete mellito gestazionale (GDM).

Diabete di tipo I

Questa patologia presenza una moderata correlazione genetica, tuttavia si necessita di un evento iniziatore affinché si verifichi l’esordio; questo evento può essere di molteplice natura, come l’esposizione ad un virus o ad una tossina che dà avvio alla distruzione delle cellule β del pancreas.

La distruzione delle cellule è lenta e può proseguire per anni, portando lentamente ad una diminuzione della produzione di insulina, tuttavia la manifestazione clinica della malattia si verifica solo quando la capacità di secrezione dell’insulina scende al di sotto di una determinata soglia.

Il diabete di tipo I è facilmente diagnosticabile, anche in fase pre-diabetica, dalla presenza in circolo di tre tipologie di anticorpi, chiamati ICA – anti insule:

  • Anti tirosina-fosfatasi IA-2A, IA-2βA: sono altamente predittivi di futura comparsa della malattia in parenti di 1°grado di soggetti con diabete di tipo 1;
  • Anti-GAD (glutamic acid decarboxylase): questi anticorpi sono più sensibili e più specifici rispetto agli ICA.
  • Anti insulina (diagnosi dell’insulinoma): possono comparire in circolo prima dell’esordio clinico del diabete e sono associati ad un elevato rischio di malattia nei parenti di primo grado di soggetti con diabete di tipo 1. Presentano una correlazione inversa sia con l’età sia con la durata della fase preclinica: più elevati sono i livelli di IAA, più rapida sembra essere la progressione verso la malattia, per tale motivo sono un valido marker di predizione della malattia solo in soggetti di età inferiore ai 10 anni.

Si può riscontrare la presenza di tutte e tre le tipologie di anticorpo, oppure di uno o due soltanto. La compresenza è predittiva del tempo necessario allo sviluppo della malattia nel soggetto; quando si trovano tutte e tre le tipologie, nel 93% dei casi l’individuo avrà l’esordio entro i 7 anni, se si trovano solo due tipologie la probabilità dimezza, con uno soltanto c’è un’ulteriore riduzione.

Diabete di tipo II

Alla manifestazione del diabete di tipo II concorrono tre tipologie di eventi: la ridotta secrezione insulinica, la resistenza insulinica e l’alterata azione delle incretine. La ridotta secrezione insulinica è strettamente correlata anche con l’alterata azione delle incretine, in quanto esse sono in grado di stimolarne il rilascio prima del verificarsi dell’iperglicemia ed essendo meno presenti nel paziente diabetico causano una ridotta secrezione dell’ormone. La resistenza all’insulina invece può essere determinata da diversi fattori, sia determinati da alterazioni genetiche come anomalie a carico dell’ormone o delle cellule bersaglio, oppure iperproduzione di anticorpi controregolatori, sia determinati da caratteristiche come l’obesità, la vita sedentaria o l’invecchiamento.

Il diabete di tipo II è caratterizzato da un’iperglicemia iperosmolare: quando la glicemia si alza troppo – i picchi possono essere anche molto alti, 400-500mg/dl – il glucosio modifica in modo importante l’osmolarità dell’organismo causando disidratazione, tuttavia in questa tipologia della malattia non apporta modificazioni di pH né nel sangue né nelle urine. L’iperglicemia cronica causa una continua secrezione di insulina, che nel tempo porta da un’iniziale condizione di iperinsulinemia, ad una deficienza relativa dapprima che diventa assoluta in quanto si interferisce pesantemente sull’equilibrio di sintesi, deposito e secrezione dell’ormone.

Tutti i pazienti presentano un difetto della funzione e della massa delle β-cellule, ma la secrezione di glucagone non è ridotta e può addirittura essere aumentata, e la maggior parte dei soggetti ha uno svuotamento gastrico accelerato rispetto ai non diabetici. Il difetto di GLP-1 (dall’inglese Glucagon-like Peptide-1) nel diabete di tipo 2 contribuisce a dare:

  • deficit secretorio di insulina;
  • eccesso di glucagone plasmatico;
  • iperglicemia postprandiale.

È importante notare come con la progressione della malattia la produzione di GLP-1 postprandiale tende a ridursi ulteriormente; si è ipotizzato dunque come target terapeutico il ripristino dei livelli di questo ormone, con l’obbiettivo di favorire il miglioramento dell’omeostasi glucidica.

Diagnosi

Per quanto riguarda la sintomatologia, il diabete si manifesta con delle condizioni di polidipsia (sete) e poliuria estremamente accentuate, accompagnate da uno stato di stanchezza cronica e perdita di peso importante. Un’altra caratteristica è l’alito acetonico, causato dall’eccessiva produzione di corpi chetonici che vengono espulsi anche attraverso il respiro, e molto spesso si verifica uno stato di iperventilazione. Anche la sensazione di nausea, il vomito ed il dolore addominale sono particolarmente presenti, soprattutto nei bambini che spesso rifiutano il cibo in favore delle bevande. Tipici sono anche i segnali della disidratazione. La visione offuscata è più rara da osservarsi rispetto alle altre, ma non trascurabile in quanto saltuariamente alle persone la malattia viene diagnosticata in seguito ad una visita oculistica proprio a questo proposito.

Il laboratorio è di importanza fondamentale per la diagnosi di questa patologia; ottenere le informazioni necessarie è molto semplice in quanto è sufficiente un prelievo di sangue, e se la glicemia a digiuno supera i 126mg/dl oppure a due ore dal pasto è superiore a 200mg/dl, il risultato sarà positivo; solitamente nel secondo caso per valori compresi fra 140 e 200 si identifica un’alterata tolleranza glucidica, e nei casi dubbi si può procedere con il test orale di tolleranza al glucosio, o OGTT (Oral Glucose Tolerance Test). Per la diagnosi è sufficiente anche che coesistano i sintomi clinici (soprattutto poliuria e polidipsia) con una glicemia random superiore ai 200mg/dl.

Per il diabete gestazionale si effettua uno screening già alla prima visita dal ginecologo, e qualora risultasse negativo si ripete tra la 24° e la 28° settimana. In questo caso si considerano valori alterati una glicemia a digiuno superiore ai 92mg/dl, una glicemia dopo la prima ora dal pasto superiore ai 180 e dopo due ore se supera i 153. Il riscontro della glicemia alterata si può effettuare anche dalla presenza di zucchero nelle urine.

A seguito della diagnosi è necessario un attento monitoraggio che si può operare completando un profilo glicemico, che consta di circa 7 misurazioni nell’arco della giornata efficaci ad identificare l’andamento della glicemia nel tempo. La misurazione della glicemia si effettua in modo semplice attraverso l’uso del glucometro, uno strumento in grado di leggere delle striscette reattive – sulle quali viene depositata una goccia di sangue prelevata solitamente dalle dita – dotate di un cromogeno sensibile all’ossidazione e di reagenti come la glucosio ossidasi, che trasformando il glucosio in glucolattone e acqua ossigenata consentono l’ossidazione del cromogeno a dare una reazione colorimetrica la cui intensità è proporzionale alla quantità dello zucchero nel sangue.

Uno degli obiettivi principali della terapia del diabete è il raggiungimento e il mantenimento dell’euglicemia, intesa come valori glicemici più prossimi a quelli fisiologici, in relazione alle esigenze quotidiane dell’organismo. L’euglicemia è di fondamentale importanza per ottenere un compenso metabolico ottimale e ridurre il rischio di insorgenza e progressione delle complicanze diabetiche. Il monitoraggio della glicemia da parte dei pazienti e degli operatori sanitari è considerato parte integrante della gestione della malattia; i risultati del monitoraggio vengono utilizzati per valutare l’efficacia della terapia e per apportare eventuali adattamenti alla dieta, all’attività fisica e alla somministrazione farmacologica in modo tale da ottenere il miglior controllo glicemico possibile.

Un ulteriore parametro che può essere verificato sia per la diagnosi, che per il monitoraggio è l’emoglobina glicata; condizioni croniche di iperglicemia causano una glicazione (gruppo carbonilico del glucosio + gruppo amminico delle proteine) ad ampio raggio delle proteine. La valutazione della glicazione dell’emoglobina è particolarmente efficace in quanto essa risiede all’interno del globulo rosso che assume il glucosio in maniera insulino-indipendente ed ha un’emivita piuttosto breve (129 giorni). Si ottengono pertanto informazioni retrospettive di 6-12 settimane riguardo la glicemia media dell’individuo, non dipende strettamente dal pasto appena consumato a differenza della glicemia, e nemmeno dalle condizioni di stress.

Complicanze del diabete

L’importanza del monitoraggio della malattia attraverso la misurazione dei valori di emoglobina glicata dipende anche dalle serie complicanze cui può andare incontro il malato, che iniziano a presentarsi sin dalla fase pre-diabetica. Esse si possono distinguere in acute, o a lungo termine.

Alcune delle complicanze acute del diabete, tipiche soprattutto del tipo I, sono l’ipoglicemia – che si può verificare a seguito di un’eccessiva assunzione di insulina rispetto alla presenza di carboidrati nel pasto – e la chetoacidosi diabetica, causata della produzione di corpi chetonici da parte del fegato; questi ultimi vengono immessi nel circolo sanguigno da dove raggiungono il rene, ma essendo in concentrazioni elevate solo parte di loro sarà riassorbita dando luogo ad iperchetonuria, utile per verificare con test casalinghi simili a cartine tornasole iperglicemie pregresse (ormai non di uso comune). Anche il glucosio in eccesso non riesce ad essere filtrato dal rene finendo quindi nelle urine dove richiama acqua causando poliuria e polidipsia (sete); associati a questi sintomi, i pazienti non trattati presentano carenza di ioni potassio.

Le complicanze a carattere cronico coinvolgono diversi distretti corporei:

  • Microangiopatia e macroangiopatia – apparato cardiovascolare;
  • Retinopatia – occhio;
  • Nefropatia – rene;
  • Neuropatia – sistema nervoso.

Alla base di tutte queste manifestazioni si ha il coinvolgimento del sistema cardiovascolare con le microangiopatie, ovvero alterato funzionamento del microcircolo che avviene a causa della glicazione proteica.

La macroangiopatia coinvolge i grandi vasi, e si accompagna alla dislipidemia diabetica con incremento in circolo di trigliceridi ed LDL, e decremento delle HDL. Essa può essere considerata una forma di aterosclerosi con alterazioni a carico delle pareti dei grossi vasi che presentano delle placche di indurimento e ispessimento, di conseguenza perdono la loro elasticità e si restringono in calibro ostruendo la normale circolazione con conseguente incremento della pressione sanguigna. Altre complicazioni apportate possono essere l’occlusione trombotica – qualora parte di queste placche si staccasse dalla parete ed entrasse in circolo – la degenerazione in fibrosi della parete vasale o l’eventuale dilatazione aneurismatica con associati processi essudativi e proliferativi nel tessuto circostante.

Il meccanismo molecolare che genera queste condizioni è proprio la glicazione (Reazione di Maillard). Nel diabete l’elevata concentrazione del glucosio ne favorisce la penetrazione negli spazi sottoendoteliali, dove reagisce con le proteine della matrice extracellulare con alterazione del collagene, formando legami trasversi fra le proteine del collagene stesso e proteine plasmatiche (albumina, lipoproteine, globuline): ne consegue il restringimento del lume vascolare, profonde alterazioni delle proprietà elastiche e irrigidimento dei vasi. I processi di glicazione coinvolgono anche lipidi che contengono gruppi amminici liberi, come la fosfatidiletanolammina e la fosfatidilserina, oppure le lipoproteine dove agisce sia sull’Apolipoproteina B-100, sia sui lipidi stessi contribuendo alla formazione delle LDL ossidate (oxLDL).

Un’ulteriore azione è la formazione di AGE, prodotti della glicazione avanzata che derivano dalla degradazione del composto di Amadori – intermedio della reazione di Maillard; essi possono interferire con le funzioni cellulari e tissutali legandosi a specifici recettori di membrana (RAGE – AGE receptors) presenti su monociti, macrofagi, cellule endoteliali e fibrocellule muscolari lisce. Questo legame a livello endoteliare attiva l’espressione di molecole di adesione e di fattori tissutali protrombotici; nei monociti invece provoca l’induzione di citochine proinfiammatorie; nei linfociti T la sintesi dell’inteferone-γ, che attiva i macrofagi. La loro azione è mediata dall’attivazione del fattore di trascrizione NF-kβ, il quale è considerato il mediatore molecolare comune per l’espressione di vari fattori di rischio cardiovascolare, data la sua capacità di attivare numerosi geni (effetto pleitropico).

A livello renale, l’espressione del danno diffuso alle piccole arterie che compongono questi organi si rivela nella nefropatia; all’interno dei glomeruli, i capillari filtrano il sangue eliminando le sostanze di scarto prodotte dall’organismo durante il suo metabolismo. Affinché la filtrazione avvenga correttamente, è necessario che le loro pareti ed in particolare le membrane filtranti siano indenni, poiché la selettività si basa sulla dimensione delle molecole. L’eccessiva glicazione delle proteine che compongono queste membrane, causata dall’iperglicemia cronica, altera la loro struttura: in una prima fase i pori si allargano e filtrano più del dovuto (proteinuria), mentre successivamente la loro permeabilità diminuisce in modo costante fino a cessare quasi del tutto, impedendo alle tossine di essere espulse dall’organismo. L’insufficienza renale non è compatibile con la vita a causa dell’accumulo di tali tossine nel sangue, e di conseguenza nell’intero organismo. L’albumina ha un peso molecolare borderline per quanto riguarda la filtrazione del rene: solitamente non dovrebbe essere presente nelle urine, con una microalbuminuria nei pazienti diabetici è particolarmente importante, in quanto indice di insufficienza renale. Inizialmente tale condizione è reversibile, e sono considerati valori allarmanti quando superano i 300mg/24h.

Un’ulteriore alterazione a carico dell’organismo causata dall’iperglicemia cronica è l’attivazione della via dei polioli con accumulo nei tessuti di sorbitolo. Valori glicemici superiori alla norma causano un riempimento di glucosio dei tessuti non insulino-dipendenti, che solitamente viene usato a scopi energetici ma se la sua concentrazione è molto elevata c’è un’inibizione dell’esochinasi che attiva l’aldosoreduttasi: il suo scopo è quello di eliminare composti tossici come le aldeidi, ma è anche in grado di trasformare il glucosioin sorbitolo. Questo zucchero, ad opera della sorbitolo-deidrogenasi, viene trasformato in fruttosio che viene sfruttato per la via glicolitica; non tutti i tessuti sono però in grado di attuare questa via metabolica, pertanto il rene e l’occhio in particolare vedono l’accumularsi di sorbitolo che essendo osmoticamente attivo richiama acqua alterandone l’equilibrio idrico. A questo fenomeno possono essere attribuite alcune alterazioni patologiche come la cataratta, neuropatie periferiche e disturbi vascolari che conducono alla nefropatia e retinopatia.
L’aldoso reduttasi inoltre è un enzima NADPH dipendente, quindi per il suo funzionamento sottrae tale molecola alla cellula, impedendole di rigenerare le scorte di glutatione (GSH) con conseguente stress ossidativo a suo carico. Nell’iperglicemia protratta inoltre i metaboliti che vengono ossidati dal mitocondrio eccedono il consumo di ATP e in queste condizioni aumenta il gradiente protonico sulla membrana interna mitocondriale, spinto dal trasporto degli elettroni e non utilizzato dall’ATP sintasi. Quando il gradiente protonico si avvicina al valore limite la catena di trasporto degli elettroni rallenta e si ingorga a livello del complesso I, quindi scarica l’eccesso di elettroni utilizzando il processo di riduzione monoelettronica. Questo processo moltiplica la produzione di superossido e di altri radicali liberi.
Il blocco della catena di trasporto degli elettroni e l’alta produzione di radicali si ripercuote a monte della via metabolica, interferendo con gli enzimi della glicolisi aerobia. In particolare vi è un’inibizione della gliceraldeide-3P deidrogenasi, e secondo la Teoria della Protein Chinasi questo porterebbe ad un accumulo di gliceraldeide-3P che attiverebbe la protein-chinasi C (PKC ) tramite l’aumento del diacilglicerolo (DAG), che si forma in equilibrio con la gliceraldeide. La PKC è coinvolta in numerose pathway e genera anomalie nel flusso sanguigno, alterata permeabilità dei vasi, angiogenesi, occlusioni capillari e vascolari, ed espressione di geni pro-infiammatori.

Data la predisposizione allo sviluppo di patologie cardiovascolari su base aterosclerotica, il soggetto diabetico viene sottoposto con opportuna frequenza – almeno una volta l’anno – ad indagini relative all’assetto lipidico plasmatico (controllo dei valori di colesterolo totale, LDL ed HDL, trigliceridi, apolipoproteine) e all’assetto coagulativo per l’identificazione di un eventuale stato trombofilico.