L’aterotrombosi è una malattia cronica che colpisce le arterie e il miocardio. Inizia con la formazione di strie lipidiche reversibili, che possono evolvere in placche fibrose e aterosclerotiche a causa di fattori di rischio come ipertensione, ipercolesterolemia, diabete e fumo. Queste placche possono causare eventi ischemici come angina e attacchi ischemici transitori (TIA). La prevenzione primaria e secondaria è fondamentale per ridurre il rischio di eventi clinici, soprattutto nelle persone ad alto rischio. Le scale di rischio cardiovascolare aiutano a valutare la probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari, tenendo conto di vari fattori di rischio.
Scale di rischio cardiovascolare
Il rischio di contrarre malattie cardiovascolari è calcolato attraverso le scale di rischio, che permettono di valutare la probabilità di un individuo di andare incontro ad un evento clinico e possono essere costruite in maniera diversa a seconda dell’obbiettivo che ci si pone.
Si prende ad esempio una popolazione di riferimento che deve essere quanto più simile al soggetto in esame: si considera rischio molto elevato se l’incremento della probabilità di contrarre la malattia è del 20%, mentre incrementi del 5-10% sono considerati bassi.
Si tratta di tabelle che vengono costruite per esempio in rapporto all’aumento dei valori di pressione arteriosa, poiché in tal caso aumenta anche la probabilità del verificarsi di un evento cardiovascolare; una persona che presenta una pressione arteriosa di 180-110mmHg è più a rischio rispetto ad una con pressione di 140-90mmHg. La pressione arteriosa da sola non determina un rischio molto elevato ma si noti che, prendendo la colonna centrale, per gli stessi valori di pressione è possibile passare da un rischio basso (inferiore al %) ad un rischio molto elevato a causa della compresenza di altri fattori di rischio – come diabete, fumo, ipercolesterolemia.
La determinazione di tali classi di ipertensione è stata fatta proprio sull’evidenza che tali incrementi di valori determinano l’aumento della probabilità di verificarsi di un evento clinico.
I soggetti che hanno già avuto un evento clinico sono considerati a rischio molto elevato. Un’altra patologia che diventa epidemiologicamente sempre più rilevante e che si associa ad un rischio cardiovascolare molto elevato è l’insufficienza renale cronica. Il rischio pertanto può aumentare in due modi: con la presenza di fattori di rischio, o con la presenza di danno d’organo – ovvero un’alterazione morfologica o funzionale di un organo o di un apparato che clinicamente non dà segno di sé e che pertanto è necessario ricercare con valutazioni strumentali. Nell’ambito della patologia aterosclerotica possibili danni d’organo sono rappresentati dalla formazione di placche a livello delle carotidi e delle arterie degli arti inferiori, che si possono individuare con un’ultrasonografia che permette di osservare la parete delle arterie; in presenza di una placca – anche se il soggetto è clinicamente silente – bisogna considerare il suo profilo di rischio e si va a misurare anche lo spessore dell’intima poiché quanto è maggiore tanto il rischio è più elevato. Nel caso di un soggetto iperteso invece, si possono andare a ricercare dei danni a livello del cuore – del quale aumenta lo spessore delle pareti – oppure nei reni – attraverso l’analisi dell’albumina nelle urine, che aumenta quando più del 50% della funzionalità renale complessiva è compromessa. La presenza di albumina nelle urine compresa tra i 30 ed i 300mg/24h è indice di danno renale – il marker è usato sia nell’ipertensione che nel diabete.
Nella valutazione del rischio cardiovascolare, per predire la velocità di progressione dell’aterosclerosi bisogna effettuare sempre una valutazione integrata che deve basarsi sull’anamnesi (raccolta della storia clinica) del paziente, sulla presenza di fattori di rischio e sui segni dei processi alla base della malattia aterosclerotica – definiti appunto come danno d’organo.
Il rischio può essere considerato con alcune scale per esempio che considerano solo gli eventi fatali, mentre altre confrontano gli eventi fatali e non fatali. La prima scala pertanto si aggira tra un rischio <1% fino ad uno >15%, mentre la seconda da <5% a >30%.
Altre scale dividono i fumatori dai non fumatori – essendo il fumo un fattore che incrementa il rischio di incorrere in eventi clinici – oppure considerano l’età, i valori della pressione arteriosa e quelli di colesterolo totale.
Il rischio aumenta anche nei soggetti diabetici, ed in particolare tale patologia è considerata un fattore di rischio per diverse condizioni soprattutto in compresenza con l’ipertensione.
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