Il diabete rappresenta un problema globale, con 422 milioni di adulti colpiti. La dieta gioca un ruolo fondamentale nel controllo del diabete e nella prevenzione delle complicanze. Obiettivi della terapia alimentare: migliorare il controllo glicemico, ridurre il rischio cardiovascolare e garantire una buona qualità della vita.
Si sente parlare molto spesso di diabete, essendo una patologia che rappresenta un problema a livello mondiale. Un recente report dell’OMS evidenzia come dal 1980 i casi di diabete siano addirittura quadruplicati, pertanto ad oggi nel mondo ci sono 422 milioni di adulti affetti da questa patologia. Le problematiche della malattia sono strettamente inerenti le complicanze: la maggior parte di queste sono di tipo cardiovascolare, ma vi si aggiungono problemi agli arti (piede diabetico), ai reni e cecità. Sono esiti che vanno a limitare fortemente la qualità della vita e quindi non si possono assolutamente trascurare. Al diabete spesso si associa uno stato di sovrappeso; il tipo II in particolare può insorgere a qualsiasi età, sono numerosi gli anziani che ne sono affetti e nel solo 2012 questa patologia ha causato un milione e mezzo di morti in tutto il mondo a causa delle sue complicanze.
Gli obbiettivi del programma alimentare sono innanzitutto di migliorare il controllo glicemico ed il quadro lipidico, riducendo il rischio cardiovascolare e soprattutto garantendo una buona qualità della vita. In condizioni normali non vi sono i presupposti per porre grosse limitazioni alla dieta di un diabetico, fatta eccezione la necessità di mantenere un peso corporeo adeguato: questa regola vale soprattutto per i pazienti diabetici obesi, per i quali sarebbe opportuno ridurre le calorie fino al raggiungimento del peso ideale – la perdita di peso infatti consente di ridurre il fabbisogno di insulina e di normalizzare il metabolismo glucidico. Si stima che una perdita di appena 5kg riduce la prevalenza di diabete di tipo II del 15% in tutti i soggetti sovrappeso o obesi.
Il problema più importante del diabete mellito è l’iperglicemia postprandiale; al fine di evitare questa manifestazione bisogna frazionare i pasti.
I macronutrienti vengono trasformati in glucosio in maniera differente, sia in termini di quantità sia in termini di velocità, e pertanto il loro impatto sulla glicemia è diverso: i carboidrati hanno un enorme effetto in poco tempo, mentre le proteine ed i grassi hanno un effetto minore a fronte di una maggior durata. Le linee guida attuali prevedono carboidrati in base alle esigenze nutrizionali, 10-20% di proteine e massimo 10% di grassi saturi.
Per quanto riguarda l’apporto proteico, i LARN raccomandano un apporto di 0,8-1,2g/kg di peso corporeo per l’adulto; nei pazienti senza evidenza di nefropatia le proteine dovrebbero fornire il 15-20% dell’energia totale giornaliera e dovrebbero essere suddivise tra fonti di origine vegetale (soprattutto legumi e cereali) e di origine animale (da preferire pesce e carni magre come coniglio, pollo e tacchino al fine di prevenire le dislipidemie). Nei soggetti con qualsiasi grado di malattia renale cronica invece per ridurre il rischio di evoluzione verso l’insufficienza renale l’apporto proteico è da limitarsi a 0,8g/kg. Si raccomanda invece di porre particolare attenzione alla quota lipidica, in quanto esiste un’associazione tra diabete e malattie del metabolismo lipidico: il colesterolo alimentare non dovrebbe superare i 300mg/giorno e si raccomanda di mantenere l’apporto energetico da lipidi inferiore al 30%, di cui non oltre il 10% da grassi saturi – da ridurre ulteriormente all’8% in caso di LDL elevato. Bisogna incoraggiare il consumo di acidi grassi poli-insaturi della serie ω3 contenuti principalmente nel pesce (da consumare 2/3 volte a settimana) ma i supplementi sono consigliati solo in presenza di particolari patologie – come ipertrigliceridemia e esiti di infarti del miocardio.
Non vi sono evidenze per suggerire diete a basso contenuto di carboidrati (<130g/giorno), al contrario si identifica una probabile associazione (grado B) tra il consumo di cereali, soprattutto integrali, e la riduzione del rischio di diabete di tipo II – in particolare si tratta di tre porzioni al giorno di cereali integrali, e derivati, che conferiscono una protezione tra il 21 ed il 42% in termini di riduzione del rischio. Secondo le linee guida il contributo dei carboidrati al fabbisogno energetico giornaliero dovrebbe essere pari al 45-60% dell’energia, ma bisogna concentrarsi sulla qualità perché meno del 10% dev’essere appannaggio dei carboidrati semplici. Pertanto, sia la quantità che la qualità dei carboidrati ha effetto sull’impatto della glicemia: la riduzione dell’indice glicemico della dieta per 4 mesi riduce la glicemia postprandiale allo stesso modo di una riduzione dell’introito di carboidrati.
L’indice glicemico di un alimento indica la velocità con cui aumenta la glicemia in seguito all’assunzione di un quantitativo dell’alimento contenente 50 g di carboidrati: viene ottenuto misurando l’andamento della curva a campana dal momento dell’ingestione a due ore dopo. Esso dipende da diversi fattori: oltre alla semplice concentrazione di zucchero – si consiglia di limitare la frutta zuccherina come banane, cachi, fichi, mandarini, uva e melagrane – può variare per via di manipolazioni tecnologiche o la semplice cottura che tendenzialmente lo aumenta, ma anche la presenza di fibre – si consiglia di assumerne giornalmente 20-40g, provenienti da fonti alimentari diverse come verdure, legumi, cereali e frutta. Oltre alla fibra anche l’interazione con grassi e proteine lo abbassa. Più importante dell’indice glicemico è però il carico glicemico: in questo criterio si tiene conto sia della qualità sia della quantità di carboidrati in una porzione di alimento.
Carico glicemico = IG x GrammiCHO / 100
Il conteggio dei carboidrati è la terapia nutrizionale di eccellenza per il diabetico di tipo I, ma può essere utile anche nel tipo II se si fa uso di terapia insulinica. Il metodo si basa sulla constatazione che l’aumento della glicemia dopo un pasto è dovuto al quantitativo di carboidrati presenti nel cibo introdotto e che il fabbisogno di insulina (prima del pasto) è proporzionale ad esso. Per apprendere il conteggio si devono susseguire tre fasi di addestramento della persona: il paziente deve innanzitutto sapere cosa sono i carboidrati, in che alimenti si trova e in quale quantità, come stimarli; successivamente dev’essere in grado di conoscere come scambiare gli alimenti contenenti carboidrati mantenendo costante l’apporto al singolo pasto; infine si individua il rapporto insulina/CHO ottimale all’adattamento della terapia ai carboidrati introdotti con i pasti (non è più il pasto che viene adattato all’insulina ma viceversa). Per quanto riguarda l’uso dei dolcificanti, possono essere utili all’interno di una dieta ipocalorica ma non sono necessari in altri casi ed inoltre non è dimostrato che aiutino a prevenire le complicanze del diabete.
L’acqua rappresenta la bevanda base per i soggetti diabetici e non esiste alcun motivo per limitarne l’assunzione, se non la presenza di particolari patologie renali o gastriche. Analogamente tè o caffè non sono vietati purché vengano poco zuccherati. È fortemente sconsigliato invece il consumo di bevande gassate che contengono quantità consistenti di zucchero, ed anche dei succhi e delle spremute di frutta, ai quali si deve preferire la frutta fresca. Le bevande alcoliche non sono vietate, ma per chi sceglie di consumare alcol si consiglia di non superare i 15-20g al giorno per le donne e 30-35g per gli uomini – sarebbe preferibile scegliere il vino e consumarlo all’interno di un pasto. Gli abusi alcolici possono causare ipoglicemia a causa di una riduzione della produzione di glucosio (gluconeogenesi) da parte del fegato: all’inizio lo zucchero contenuto nelle bevande provoca un picco glicemico, che viene seguito da uno ipoglicemico.
L’attività fisica è benefica per il paziente diabetico sotto molteplici aspetti: aiuta nella perdita di peso, migliora la funzionalità cardiovascolare ed il profilo lipidico oltre ad aumentare la sensibilità all’insulina e conferire una sensazione di benessere che incrementa la qualità della vita. Oltre a ciò essa facilita il controllo metabolico, intervenendo positivamente sulla glicemia, colesterolemia e trigliceridemia inoltre incrementa il colesterolo HDL e migliora la pressione arteriosa. Tuttavia solo i diabetici ben controllati possono fare sport, presentando sempre attenzione che qualora fosse intensa o prolungata potrebbe determinare ipoglicemia sia in corso di esercizio sia a distanza da esso. È preferibile un’attività di tipo aerobico (evitare esercizi isometrici “di resistenza”) della durata di 20/45 minuti per sessione e con una frequenza di 3-5 volte a settimana.
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