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Dieta per Tiroidite di Hashimoto

La Tiroidite di Hashimoto è una condizione autoimmune che colpisce la ghiandola tiroidea, causando ipotiroidismo. Sebbene non esista una cura specifica, una dieta adeguata può aiutare a gestire i sintomi

La tiroidite di Hashimoto, detta anche tiroidite linfocitaria o struma linfomatoso, è una patologia autoimmune caratterizzata dalla presenza in circolo di anticorpi anti-tireoglobulina e anti-perossidasi, i primi in quantità maggiore. Si caratterizza inizialmente per la comparsa di un modesto ipertiroidismo mentre con il progredire della malattia si va incontro ad una condizione di ipotiroidismo poiché il tessuto ghiandolare viene progressivamente sostituito da tessuto fibroso con infiltrazione linfocitaria; la captazione dello iodio risulta invece normale. Pare che la patologia sia geneticamente determinata.

La presenza di anticorpi anti-tireoglobulina ha un effetto citotossico dovuto alla formazione di immunocomplessi di tireoglobulina-anticorpi a livello tiroideo, in particolare sulla membrana basale dell’epitelio follicolare; ciò determina l’attivazione di particolari cellule mononucleate chiamate kill cells che rappresentano l’infiltrazione linfocitaria della ghiandola. In circolo si trova anche un’immunoglobulina che stimola la crescita tiroidea, la Thyroid Growth Promoter (TGI).

Una variante della malattia chiamata tiroidite giovanile vede la modificazione del tessuto vascolare della ghiandola in tessuto fibroso, di conseguenza di presenta ipotiroidismo e si necessita della terapia ormonale sostitutiva. Altri possibili quadri clinici simili sono la tiroidite atrofica e quella focale.

La diagnosi segue il sospetto clinico che viene indotto dall’ispezione e dalla palpazione del collo, conseguentemente vengono richieste le indagini di laboratorio (anticorpi ed ormoni tiroidei) e vi si associano delle indagini strumentali quali l’ecografia e, meno di frequente, la scintigrafia. Il quadro microscopico all’inizio vede una diffusa infiltrazione linfocitaria ed una obliterazione degli acini, mentre negli stadi avanzati è apprezzabile la vera e propria fibrosi.

Il trattamento è essenzialmente farmacologico e prevede l’ormonoterapia, mentre la chirurgia è riservata solo alle forme in cui la ghiandola aumenta di volume provocando dei sintomi per via dello spazio anatomico che viene ad occupare; è tuttavia possibile riscontrare la presenza di alcuni noduli anche duri pertanto è richiesta una diagnosi differenziale con neoplasie maligne – effettuata mediante agobiopsia ecoguidata. La somministrazione cronica dei farmaci immunosoppressori comporta inoltre spesso gravi effetti collaterali che contribuiscono a deteriorare la qualità di vita del malato. Nella tiroidite di Hashimoto, che porta all’ipotiroidismo, o nel caso di interessamento pancreatico, che provoca il diabete, la terapia è sostitutiva e consiste nel somministrare gli ormoni naturali mancanti: tiroxina e insulina. In presenza di patologie autoimmuni che coinvolgono la tiroide è importante porsi il problema dell’eventuale presenza di altre manifestazioni correlate, quindi se fa parte di un quadro più esteso di problemi di tipo immunitario. Nella maggior parte dei casi le terapie a disposizione riescono solo a rallentare l’evoluzione della malattia senza riuscire ad ottenere una guarigione.

Attraverso un’alimentazione corretta è possibile modificare il decorso della malattia, ridurre l’intensità ed il numero dei disturbi fisici ad essa correlati, allungare i periodi di benessere, diminuire le fasi di riacutizzazione e migliorare la prognosi.

Le indicazioni alimentari in corso di patologie autoimmunitarie consistono nel basare la propria dieta su cibi di origine vegetale (cereali, legumi, verdura, frutta, semi, noci), preferire preparazioni semplici, scegliere alimenti non conservati o troppo elaborati, consumare in abbondanza cibi ricchi di vitamine ed acidi grassi polinsaturi (buoni).

La presenza di alimenti gozzigeni nella dieta assume importanza clinica solamente quando l’apporto di iodio è particolarmente basso (eventualità scongiurata dal semplice consumo di sale iodato). Nella categoria dei gozzigeni rientrano le brassicacee (come cavoli, cavolfiori, broccoli, cavolfiori, semi di lino, rape, spinaci, crescione, rafano, rape, ravanelli, rucola, miglio e tapioca), la soia ed alcuni additivi alimentari (come i nitrati presenti nel pesce e nelle carni conservate che inibiscono l’assunzione di iodio da parte della tiroide). Una carenza di questo oligoelemento può causare ipotiroidismo, con conseguente comparsa di gozzo (ipertrofia ghiandolare tiroidea compensatoria). Se non si è a rischio di carenze iodiche particolari, come quelle derivanti da deficit enzimatici familiari, se non si soffre già di ipotiroidismo, e se si attua la supplementazione iodica con sale iodurato per la profilassi del gozzo non vale dunque la pena rinunciare a questi alimenti soltanto per il timore del loro effetto gozzigeno. Infatti, chi è in trattamento sostitutivo con l’ormone tiroideo levo-tiroxina può mangiare di tutto perché protetto dall’opoterapia sostitutiva. Tra l’altro, durante la cottura, i tiocianati contenuti nei cavoli, broccoli etc, vengono inattivati per cui la loro azione antagonista nei confronti del metabolismo complessivo dello iodio è trascurabile.

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