Fisiologia della vitamina D: sintesi, metabolismo e funzioni della vitamina D, un pro-ormone steroideo essenziale per la salute dell’organismo.
Le principali patologie causate dalla carenza di vitamina D sono il rachitismo, l’osteomalacia, la miopatia prossimale, l’iperparatiroidismo secondario e l’osteoporosi, una condizione patologica che riduce la resistenza ossea e aumenta il rischio di fratture.
Con il termine vitamina D indichiamo due diversi composti: l’ergocalciferolo (D2) e il colecalciferolo (D3). La prima molecola si produce per esposizione alla luce solare nei lieviti e nelle piante, a partire dal’ergosterolo; la seconda invece è tipica dell’uomo e degli animali, la formazione è sempre catalizzata dalla luce e vede come precursore il 7- deidrocolesterolo. A livello cutaneo questa molecola viene attivata dai raggi solari; in seguito subisce due modifiche nel fegato ed una a carico del rene prima di divenire la 1,25-diidrossivitamina D3, ovvero la forma biologicamente attiva. Si tratta di secosteroidi, ovvero molecole in cui la struttura tipica del colesterolo (ciclopentaperidrofenantrene) è aperta in corrispondenza dell’anello B fra C9 e C10.
La fonte principale di questa vitamina è l’esposizione solare in quanto gli alimenti che la contengono non sono numerosi; in caso di sua assunzione l’assorbimento avviene nell’intestino tenue per diffusione passiva, si crede attraverso i trasportatori di membrana tipici del colesterolo. All’interno degli enterociti gran parte della vitamina D è incorporata nei chilomicroni, che passano nella linfa e poi nel sangue; essa viene successivamente idrolizzata nei tessuti periferici e si deposita soprattutto nel tessuto adiposo – in quanto estremamente lipofila. La 25(OH)vitamina D e la 1,25(OH)2vitamina D sono soggette anche all’azione dell’enzima 24-idrossilasi, tipico del rene e altri tessuti; la forma 24-idrossilata – principale metabolita – va incontro ad un successivo catabolismo, che prevede la formazione in particolare di acido calcitroico. Vitamina D e acido calcitroico sono eliminati attraverso la bile e poi nelle feci, pochissimo per via renale.
Il termine vitamina D viene usato in maniera impropria, poiché con la parola vitamina si indicano sostanze naturali che vengono acquisite attraverso la dieta mentre in questo caso si tratta di un pro-ormone steroideo. Essa viene anche chiamata vitamina del sole, essendo prodotta a partire da una fotoconversione cutanea; la produzione cutanea può tuttavia essere compromessa in svariate condizioni:
- Invecchiamento;
- Utilizzo di protezioni solari (SPF>15);
- Eccessivo pigmento cutaneo rispetto alla zona di residenza;
- Stagione invernale a latitudini superiori a 35N.
La presenza di una carenza estiva è indicativa di un peggioramento nel periodo invernale.
La vitamina D è caratterizzata dalla possibilità di dare effetti endocrini non classici: essa è in grado sia di stimolare la secrezione di insulina sia di incrementarne la sensibilità a livello dei tessuti, e quindi rappresenta un fattore protettivo nei confronti dello sviluppo del diabete; le sue numerose azioni sono dovute al fatto che il recettore nucleare per questo ormone è ubiquitario ed esso è in grado di entrare nella cellula fino a raggiungere il nucleo grazie alla sua lipofilicità.
L’ormone esercita una duplice funzione, sia endocrina che paracrina; quest’ultima è potenzialmente coinvolta nel funzionamento di molti tessuti extra-ossei, alcuni dei quali presentano la capacità di sintesi della 1,25(OH)2 vitaminaD e del recettore del calcitriolo (VDR) – ad esempio i macrofagi, l’endotelio, la prostata, la mammella, il colon, il pancreas. Questa sintesi localizzata consentirebbe una regolazione paracrina delle funzioni cellulari.
L’1-α-idrossilasi tissutale è regolata dalla presenza del substrato – quindi dai livelli di 25OHD e dalla sua biodisponibilità – e può essere attivata in particolari condizioni, ad esempio nei macrofagi attivati o nelle cellule cancerose. Ci sono state evidenze sperimentali in studi su malattie cardio- vascolari (in particolare sul sistema renina angiotensina) e sul diabete mellito (sul rilascio di insulina e sulla sensibilità dei tessuti periferici all’insulina). Il substrato 25OHD viene utilizzato nel trattamento delle malattie autoimmuni in quanto possiede effetti immunomodulanti. Fino ad ora comunque non sono disponibili delle indicazioni precise ma sono state formulate solamente delle ipotesi.
Malattie da deficit di vitamina D
Trattandosi della carenza di un ormone ed avendo effetti importanti su diversi distretti corporei, l’ipovitaminosi D è caratterizzata da alterazioni diffuse nel corretto metabolismo dell’organismo.
Rachitismo e osteomalacia
Il rachitismo e l’osteomalacia sono osteopatie caratterizzate dall’alterazione della componente minerale dell’osso, mentre la matrice organica risulta normale; la prima si manifesta nell’età evolutiva – può essere dovuta a motivi genetici oppure di malassorbimento, alla scarsa esposizione solare del bambino e porta a ritardo di crescita e deformità scheletriche – mentre la seconda è tipica dell’adulto – ha una sintomatologia relativamente meno grave con maggiore fragilità ossea e debolezza muscolare.
La differenza sostanziale nelle due manifestazioni è dovuta al fatto che nel bambino troviamo un osso in crescita che, essendo ancora immaturo, si trova in una fase precedente alla fusione delle cartilagini di accrescimento; nell’osso adulto invece ciò è già avvenuto, quindi si presenta un deficit di mineralizzazione, con manifestazioni meno gravi. Entrambe queste patologie sono caratterizzate da un’eziopatogenesi che presenta carenza di vitamina D, apporto inadeguato di calcio, carenza di fosfati e ipofosfatasia.
L’ipovitaminosi in età pediatrica dunque causa rachitismo: i segni di questa patologia sono piuttosto evidenti nel bambino, che presenta una ridotta velocità di crescita, con fontanelle che tardano a chiudersi e deformità scheletriche caratteristiche – “rosario rachitico”, ovvero una particolare conformazione della gabbia toracica; bozze frontali; addome protruso; articolazioni sproporzionate e ossa lunghe ricurve, deformità che si manifesta dopo l’inizio della deambulazione. Tutte queste manifestazioni si verificano per il difetto di mineralizzazione del tessuto osseo, che può essere causato anche da patologie che non riguardano esclusivamente la carenza della vitamina D.
I fattori di rischio per la patologia sono numerosi:
- Scarsa esposizione solare;
- Elevata pigmentazione melaninica;
- Mancata profilassi con vitamina D;
- Deficienza materna di vitamina D;
- Ridotto apporto dietetico di calcio;
- Abitudini dietetiche e culturali.
Nell’adulto invece l’ipovitaminosi si manifesta nell’osteomalacia, dovuta sempre ad un difetto nella mineralizzazione della matrice organica neoformata, definita tessuto osteoide; affinché essa avvenga in maniera ottimale è necessario che le sue componenti siano quantitativamente e qualitativamente normali, quindi che sia presente una concentrazione ottimale di calcio e fosfati nella matrice extracellulare, e che l’attività della fosfatasi alcalina sia adeguata. L’incidenza della carenza di questo nutriente è estremamente alta nella popolazione, soprattutto per quanto riguarda le donne, ed ha effetti non trascurabili. L’effetto maggiormente evidente è l’incremento del rischio di sviluppare fratture, dovuto al fatto che la matrice ossea nell’osteomalacia risulta meno mineralizzata – eccesso di osteoide – e maggiormente porosa.
I principali sintomi di questa malattia sono un dolore osseo generalizzato, oppure localizzato nei cosiddetti tender points – sterno, polsi e stinchi – e la presenza di dolori muscolari. Si è osservato che terapie con supplementazione di vitamina D riducono il rischio di frattura in maniera dose- dipendente.
Gli effetti della carenza di questa vitamina non si limitano all’osso ma coinvolgono anche i muscoli scheletrici, a dare una patologia chiamata miopatia prossimale. Essa si manifesta con debolezza muscolare prossimale e difficoltà nel movimento del femore e del ginocchio, con conseguente impedimento ad alzarsi, a salire le scale ed assunzione di un’andatura anserina. Si presenta anche un dolore muscolare diffuso, ma i riflessi risultano normali e non sono rilevabili nemmeno deficit sensitivi.
Studi sugli effetti della vitamina D sul muscolo hanno evidenziato che la miopatia “osteomalacica” non è l’unico effetto dell’ipovitaminosi su questo organo, e infatti lo stato vitaminico D influenza la performance muscolare. I livelli di 25OHD>30ng/ml sono desiderabili anche per un’ottimale muscolare, e trattamenti con vitamina D – in dosi di almeno 800IU/gg – sono associati con un miglioramento della performance muscolare ed a una riduzione delle cadute e delle fratture. Tuttavia sono ancora necessari degli studi sui possibili effetti di dosaggi superiori, ed è ancora da indagare efficacemente quali possono essere gli effetti a lungo termine di questa supplementazione.
Come ulteriore conseguenza, la carenza di vitamina D può portare ad iperparatiroidismo. Questa patologia può rientrare in due categorie: l’iperparatiroidismo primario riguarda l’aumento in dimensioni ed iperfunzione di una o più delle ghiandole paratiroidi; l’iperparatiroidismo secondario invece vede una funzionalità ghiandolare normale, ma in presenza di ipovitaminosi D particolarmente accentuata e persistente viene stimolata un’eccessiva produzione di paratormone – la patologia si può curare con un supplemento della vitamina e del calcio, tuttavia se ciò non si applica può degenerare in uno stadio terziario, poiché l’eccesso di produzione del paratormone causa uno stress della ghiandola che non risponde più adeguatamente alla regolazione.
Risulta pertanto evidente che soddisfare il fabbisogno di vitamina D è estremamente importante per la salute dell’organismo, e anche se il 95% della richiesta viene soddisfatta dalla sintesi catalizzata dalla luce solare esistono comunque delle quantità di assunzione raccomandate, che variano con l’età.
Il deficit di vitamina D è una condizione piuttosto diffusa nella popolazione: il target di 30 ng/ml non è semplice da raggiungere a causa della scarsa esposizione solare tipica dell’attuale stile di vita; nell’adulto e soprattutto nell’anziano può essere dunque opportuno operare con una supplementazione, tuttavia anche se è stimato che il 70% della popolazione soffra di questa carenza prima di procedere con tale approccio è fondamentale controllarne i valori ematici, al fine di impostare al meglio la terapia ed evitare rischi di ipervitaminosi.
La correzione del deficit si può attuare in diverse maniere, in base ai diversi principi terapeutici – D2, D3, 25OHD – agli scopi del trattamento e alla soglia richiesta. Gli interventi possono essere effettuati a vari livelli: si può consigliare di trascorrere maggior tempo all’aria aperta e di prestare maggiore attenzione all’assunzione del minerale con la dieta; in casi più difficili si procede invece con una supplementazione, che può riguardare metaboliti generali coinvolti nel metabolismo minerale e scheletrico oppure la vitamina nello specifico. Si possono trovare diverse formulazione degli integratori, che possono contenere:
- Colecalciferolo – in quantità variabili, somministrabile in diverse modalità ma consigliato con piccole dosi giornaliere; in casi gravi possibile somministrazione intramuscolare.
- Calci(fe)diolo – usato nei pazienti che rispondono male alla terapia, oppure in caso di insufficienza epatica o di assunzione di particolari farmaci; ha una minore emivita ma la sua azione è più rapida.
Durante tutta la durata della terapia è opportuno monitorare sia la calcemia che la calciuria, per verificare che si stia svolgendo al meglio.
L'osteoporosi
L’osteoporosi è una condizione patologica caratterizzata da una riduzione della resistenza ossea; il paziente affetto solitamente va incontro a fratture spontanee causate anche da traumi lievi (es. colpo di tosse). Questa condizione è causata da una riduzione della mineralizzazione e della qualità dell’osso; quest’ultima è determinata da diversi fattori:
- Turnover osseo;
- Architettura ossea;
- Mineralizzazione ossea;
- Matrice ossea (proteine collageniche e non).
L’esame diagnostico che viene effettuato si chiama MOCK e valuta la densità minerale ossea. In alcuni casi tuttavia essa può risultare nella norma, ma la qualità del tessuto viene inficiata da un’anomala attività dei glucocorticoidi.
La prevenzione dell’osteoporosi consiste nelle misure tese ad impedire o rallentare la comparsa della malattia. Per trattamento s’intendono invece i provvedimenti rivolti ai soggetti già osteoporotici, con o senza fratture preesistenti, ad elevato rischio di prima o ulteriore frattura. I provvedimenti non farmacologici di prevenzione e trattamento sono sovrapponibili. La prevenzione con interventi non farmacologici (dieta, attività fisica, adeguato apporto di calcio) o l’eliminazione di fattori di rischio modificabili (fumo, abuso di alcool, rischi ambientali di cadute) possono essere consigliati a tutti. Una dieta adeguata con giusto apporto di vitamina D, ma anche equilibrata con corretto apporto di proteine, carboidrati e lipidi possono essere utile per ottimizzare il picco di massa ossea anche in età giovanile. Oltre a quello di calcio e vitamina D, anche un adeguato apporto proteico è necessario sia per mantenere la funzione del sistema muscolo-scheletrico, sia per ridurre il rischio di complicanze dopo una frattura osteoporotica. L’utilizzo di farmaci per la prevenzione dell’osteoporosi non è quasi mai giustificata, e gli stessi supplementi di calcio vanno consigliati solo quanto il fabbisogno giornaliero non possa essere conseguito con la dieta.
La terapia che viene messa in atto ha come obbiettivi l’aumento della densità ossea, la riduzione del turnover e la prevenzione sia primaria che secondaria delle fratture da fragilità che possono presentare anche notevoli complicanze. Una rapida correzione della vitamina D viene effettuata mediante una prima somministrazione di una dose di attacco – molto elevata – cui segue una fase di mantenimento. Sono presenti delle dettagliate linee guida per le terapie con il colecalciferolo, che mirano ad ottenere un valore minimo adeguato di 25(OH)D sierica solitamente con una supplementazione sufficiente di 800-1000 IU al giorno, che in ogni caso non supera mai i 10000IU. Si preferisce sempre incoraggiare l’utilizzo di cibi fortificati con calcio e vitamina D.
Sono presenti anche delle strategie terapeutiche per il trattamento dell’osteoporosi, che hanno importanti effetti sul rimodellamento osseo; questi farmaci tuttavia possono essere assunti per un periodo limitato, dopo 5 anni dall’inizio della terapia si esegue una valutazione e in ogni caso dopo 10 anni l’assunzione va sospesa o si corre il rischio di inficiare troppo l’autoregolazione del meccanismo.
Sia per la diagnosi che per il monitoraggio della terapia sono valutati i livelli di marker biochimici del turnover osseo, che si suddividono in marker di formazione e marker di riassorbimento; i primi sono la fosfatasi alcalina – ossea non totale – oppure il propeptide N-terminale del procollagene di tipo 1 (P1NP); tra i secondi troviamo invece il telopeptide C-terminale del collagene di tipo I (CTX) – che deriva dalla proteina collagenica e viene degradato dall’osteoblasta – o le desossiproline urinarie. Spesso il paziente con osteoporosi vede un aumentato turnover osseo, quindi un’efficace terapia antiriassorbitiva sarà accompagnata da un abbassamento dei marker di riassorbimento.
Somministrando invece farmaci anabolici come il teriparatide, talvolta si vedono degli innalzamenti di fosfatasi alcalina ossea dovuti all’effetto del farmaco che va a stimolare la formazione ossea.
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