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L’importanza della dieta mediterranea nel contrastare l’obesità e il sovrappeso. Nonostante l’aumento delle diete di vario tipo, molte non sono salutari o efficaci. La dieta mediterranea, invece, è considerata un modello di salute eccellente, basato su un alto consumo di alimenti di origine vegetale, cereali integrali, legumi, pesce e olio d’oliva, con un moderato consumo di carne e vino rosso1. Tuttavia, molti non seguono questa dieta, portando a un aumento di peso e a problemi di salute come la sindrome metabolica. È importante una dieta equilibrata e uno stile di vita attivo per mantenere la salute metabolica e prevenire malattie.

A fronte dell’incremento di individui in sovrappeso o obesi, le diete hanno preso ampiamente piede; ce ne sono tantissime, di diversa natura e spesso promettono dei dimagrimenti piuttosto rapidi, ma non tutte sono salutari e a volte nemmeno efficaci. Alcuni esempi: ipocaloriche, a basso IG, dieta a zona – tiene bassa l’oscillazione dell’insulina (responsabile accumulo addominale del grasso), Dukan e diete proteiche, VLCD (very low calories diets) – diete normoproteiche ma ipoglucidiche in quanto soddisfano solo le richieste del ciclo di Krebs, flexitariana – vegetariana ma a volte ci si concede delle proteine animali, dieta mima-digiuno ecc.

Si osserva dunque il modello di salute per eccellenza: la dieta mediterranea. Essa è composta da:

  • Lipidi 25-30%
  • Proteine 12% o calcolate su un coefficiente di 0,75g-1,2g per kg di peso desiderabile
  • Carboidrati 55-60%
  • Alcol max 2 unità

Assumere grassi saturi, monoinsaturi o polinsaturi fa molta differenza: se vengono rispettate le frequenze della piramide alimentare, ovvero mangiare carne rossa e salumi occasionalmente, pesce e carne bianca una volta alla settimana e l’olio di oliva giornalmente la combinazione è buona.

La vera dieta mediterranea si basa sulla prevalenza degli alimenti di origine vegetale su quelli di origine animale, sulla stagionalità con abbondanza di cereali e legumi integrali e, possibilmente, interi. La prevalenza dei prodotti della pesca sulla carne e sulle uova – inoltre, la carne è essenzialmente aviaria e cunicola (quindi magra) o da pecora e capra. Utilizzo di oli vegetali spremuti a freddo, di solito extravergine di oliva, con spezie e poco sale marino.

Consumo di poco vino rosso ai pasti. Importante soprattutto l’assenza di cibi spazzatura e lo stile di vita attivo, con moderato intake calorico.

Essa tuttavia non viene seguita dalla gran parte della popolazione, che aumenta di peso. Alcuni dei fattori che provocano questo evento sono genetici – geni risparmiatori, siamo discendenti da popolazioni che sono sopravvissute alle carestie, dove essere bravi a risparmiare le energie era un vantaggio – ma si tratta soprattutto della presenza di uno stile di vita sedentario, nonché di fattori psicologici – il cibo viene visto come una soddisfazione emotiva – o di malattie – endocrine, tumori, DCA, uso di farmaci steroidi o ad azione centrale. Importante è tuttavia la componente dell’alimentazione monotona ed inadeguata. Alcune delle conseguenze vanno oltre al sovrappeso e obesità, come il presentarsi della sindrome metabolica – che può presentarsi anche nei soggetti magri – acidosi, infiammazione subclinica, eccesso di massa grassa.

Un corpo in grave sovrappeso oppure obeso è più esposto alla resistenza all’insulina, ma non è non è necessario essere obesi: non è importante quanto grasso è stato accumulato in un organismo, ma soprattutto dove è stato accumulato. La topografia adiposa (mela o pera) è un indicatore di valenza nettamente superiore al peso corporeo globale: una persona magra che tuttavia presenta la “pancia” ha sicuramente un’elevata insulina ematica, mentre – soprattutto le donne – chi accumula grasso nei fianchi e nelle cosce presenta solitamente delle alterazioni per quanto riguarda gli ormoni sessuali. Nella sindrome metabolica il tessuto adiposo è localizzato nella regione addominale, che caratterizza il sovrappeso “a mela”, è associato ad un più alto rischio (rispetto al grasso periferico, ad esempio quello nella zona gluteo-femorale) di andare incontro a mortalità cardiovascolare. La perdita della salute metabolica provoca nel corpo un accumulo di grasso, ed espone gli organi a processi di degenerazione, a patologie cardiovascolari e tumori.

L’obesità anatomica è preceduta da quella cellulare: i trigliceridi si accumulano nel tessuto adiposo, le cui cellule solitamente non si dividono ma in presenza di un contenuto eccessivamente elevato di grassi mandano segnali di duplicazione. La perdita di peso svuota le cellule adipose dal loro contenuto di trigliceridi ma esse rimangono dello stesso numero: il post dimagrimento è pertanto una situazione critica perché tali cellule vivono circa 10 anni. Nel grasso patologico inoltre si vede un’abbondante infiltrazione di cellule immunitarie che provocano infiammazione e aumento della matrice extracellulare con comparsa progressiva di fibrosi. Ogni chilo di massa grassa richiede la formazione di 3 km di vasi sanguigni: le implicazioni sono un aumento della pressione in quanto il cuore deve pompare il sangue in tutti questi vasi e spesso si instaurano situazioni di ipossia che portano alla produzione di energia attraverso la fermentazione lattica, con acidificazione del pH del tessuto (favorisce lo sviluppo di cellule neoplastiche) e anche ridotto ottenimento di energia dagli alimenti. Solitamente gli obesi fanno uso di anti-ipertensivi e molte volte quando iniziano a perdere peso si aggiusta anche la pressione: di solito non si arriva a togliere completamente la pastiglia – se non occasionalmente in estate – ma le dosi della terapia vengono ridimensionate.

Alle spalle ci troviamo decenni e decenni dove le diete sono state vissute ed implementate con il calcolo delle calorie, e molti professionisti tendono ancora a muoversi in questo modo, tuttavia questo non è sufficiente. Una porzione di pasta, una porzione di formaggio o di un altro alimento possono contenere lo stesso numero di calorie, ma contengono molecole diverse: la pasta contiene in prevalenza carboidrati, mentre il formaggio contiene proteine e lipidi in prevalenza, e non carboidrati.

Mettendo a confronto due tipologie di pasti isocalorici, ci si accorge subito come a parità di calorie i nutrienti possano essere anche sostanzialmente diversi. Prendiamo ad esempio una persona con alterati livelli glicemici: assumere un piatto di pasta da 80g provoca un innalzamento della glicemia non indifferente, con accumulo dei trigliceridi a livello addominale. Le calorie pertanto non sono sufficienti ad implementare uno stile di vita corretto e sano.

Assumendo per prima la fibra (verdura) innanzitutto ci sentiamo più sazi a fine pasto, ed in secondo luogo il segnale di produzione dell’insulina viene smorzato.

Il profilo metabolico ed ormonale post prandiale è diverso e dipendente dalle molecole ingerite, digerite ed assorbite, pertanto la qualità, la combinazione molecolare e la sequenza degli alimenti condizionano il metabolismo cellulare, il profilo ormonale e la modulazione genica post prandiale.

Mirare al solo controllo del bilancio energetico giornaliero per recuperare peso forma, ridurre sovrappeso e obesità si è dimostrato non sufficiente per arginare la epidemia di obesità, sindrome metabolica, tumori e decadenza funzionale ed estetica.

Secondo le linee guida dell’OMS, non più del 10% del fabbisogno energetico giornaliero dovrebbe provenire da zuccheri aggiunti; per un intake calorico di 2000 kcal, circa 50g di zuccheri semplici, ma per ottenere un maggiore beneficio per la salute si dovrebbero dimezzare le quantità indicate, per un massimo di 25 grammi al giorno. L’obbiettivo non è semplice da raggiungere, ci si ricordi che la stessa frutta contiene zuccheri semplici. Ciò su cui ci si è concentrati recentemente sono le molecole: non si mangiano calorie, ma appunto molecole che tra le altre cose sono in grado di agire sul DNA; all’interno del corpo disponiamo di tutta una serie di recettori che ci consentono di interagire con l’ambiente con cui veniamo in contatto, del quale fa parte anche il cibo – introdotto dall’esterno. Esso risulta a tutti gli effetti il principale mediatore tra l’ambiente ed il patrimonio genetico: ogni atto alimentare cambia l’omeostasi del corpo attraverso modificazioni ormonali che impattano su tessuti e organi. Le diete ipocaloriche dunque perdono il loro significato, sebbene un calcolo del fabbisogno rimanga opportuno come linea guida per l’implementazione di una dieta efficace; si deve tuttavia tener conto del fatto che ad oggi il dogma centrale della biologia (DNA —>RNA —> Proteine) è cambiato con l’introduzione di sempre nuove scoperte che riguardano l’epigenetica – il modo in cui l’ambiente è in grado di modificare l’attività del genoma stesso attraverso l’azione di modulatori genici che possono agire sia in modo diretto sia indiretto, favorendo la produzione di intermediari. Quelli che introduciamo con gli alimenti in particolare possono garantire e sviluppare meccanismi biologici di resistenza al sovrappeso e obesità, attivando una espressione genica con produzione di enzimi in grado di gestire e condizionare il metabolismo glucidico, lipidico, protidico delle cellule.

Se è vero che i geni determinano la nostra identità biologica, è anche vero che l’alimentazione ed il nostro stile di vita hanno un’azione fondamentale per quanto riguarda il fenotipo risultante dal nostro genotipo.

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