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Il rapporto tra alimentazione, microbioma e malattie: il cibo che mangiamo influisce sulla nostra salute, sulla composizione della flora intestinale e sul rischio di sviluppare diverse patologie. Vedremo le funzioni dell’intestino, che è un organo complesso e autonomo, capace di regolare la digestione, l’assorbimento, la produzione di sostanze nutritive, la risposta immunitaria e la comunicazione con il cervello. Il microbiota, ovvero l’insieme dei batteri che abitano l’intestino, ha un ruolo importante nella modulazione dell’infiammazione, del metabolismo e del benessere generale. È importe una dieta equilibrata, varia e stagionale, basata su alimenti vegetali, come la dieta mediterranea, per prevenire o curare l’obesità, le malattie metaboliche, le malattie infiammatorie e le malattie neurodegenerative.

Il motto siamo quello che mangiamo potrebbe essere modificato in siamo quello che assorbiamo: ci sono diversi passaggi che ci consentono di assumere i nutrienti dal cibo che ingeriamo. Il primo riguarda lo stomaco, caratterizzato da un pH acido utile a proteggere l’organismo eliminando i batteri nocivi. È più probabile salvarsi da un’intossicazione se si è mangiato o bevuto poco in concomitanza con l’alimento a rischio, perché in caso contrario lo stomaco non è in grado di abbassare il pH a sufficienza. Oggi moltissime persone fanno uso di antiacidi – inibitori delle pompe protoniche – per problemi di reflusso, tuttavia in questo modo sono molto più soggetti a infezioni e non solo, essi provocano anche una minor sintesi del fattore intrinseco che comporta una carenza di B12.

Per quanto riguarda l’intestino, si tratta di un potente centro di regia che esplica la sua funzione attraverso i contatti con il resto del corpo e si occupa dell’assorbimento e dello smistamento dei nutrienti alle loro destinazioni di utilizzo. È un organo endocrino ed esocrino in ogni tratto della sua lunghezza, presenta diversi tipi di cellule capaci di secernere una grande quantità di ormoni ed è dotato di un sistema immunitario raffinatissimo (MALT) e di un sistema nervoso che, con i suoi 500 milioni di neuroni, è assolutamente comparabile al SNC in termini di sviluppo e complessità. All’interno dell’intestino tenue avviene la cosiddetta digestione enzimatica: esso opera la grande regia digestiva inviando segnali neuroendocrini a tutti gli organi in maniera calibrata, ed è un organo totalmente autonomo – muore per ultimo, dopo essersi liberato (“digiuno” proprio perché veniva sempre ritrovato vuoto nei reperti autoptici).

Fino ad ora si pensava che l’intestino influenzasse il cervello tramite i prodotti della digestione, ma solo recentemente si comincia a scoprire un nuovo collegamento dell’asse cervello-pancia che coinvolge il microbiota – un organo invisibile ancora scarsamente considerato.

Gli effetti positivi e negativi dipendono dalla composizione della flora microbica, che viene notevolmente influenzata dalla dieta. Il destino stesso di un cibo cambia a seconda dell’intestino in cui arriva poiché ciascuno di noi ha la sua soggettività intestinale, digerisce e assorbe in rapporto al suo apparato gastroenterico e, soprattutto, alla composizione del suo microbiota – basti pensare al fatto che la maggior parte delle persone lamenta gonfiore dopo l’assunzione di legumi – ma è vero anche il contrario: il microbiota cambia a seconda del cibo che arriva – sempre parlando di legumi, mangiarli con regolarità determina una selezione dei batteri che abitano l’intestino con incremento di quelli in grado di processarli adeguatamente, quindi a lungo andare ci si abitua alla loro assunzione e il processo di fermentazione diminuisce. Una alimentazione basata su proteine e lipidi, con carenza di alimenti vegetali, si associa ad un microbiota dominato dal genere Bacteroides, mentre una basata su alimenti di origine vegetale è associata al genere Prevotella; queste differenze si ripercuotono sul benessere del corpo perché i primi producono delle sostanze che agiscono come segnali proinfiammatori. I Firmicutes ad esempio in assenza di bifidobatteri sono in gradi di frazionare le fibre in zuccheri semplici e attivano un gene per la sintesi di GLUT-1 e GLUT-2 sulle pareti degli enterociti ileali che ne sono normalmente sprovvisti, provocando un assorbimento ileale di zuccheri a partire dalle fibre. Sono fattori da valutare nel momento in cui si implementa un piano dietetico: da una condizione di obesità genetica e nutrizionale, si giunge ad una disbiosi che altera la barriera metabolica composta dai microrganismi dando origine a endotossemia; quest’ultima può portare ad un’infiammazione persistente di basso livello che predispone allo sviluppo di diverse patologie: epatiche, cardiache, e metaboliche.

I batteri intestinali si cibano di ciò che non riusciamo a digerire e quello che noi introduciamo in eccesso e cedono a noi sostanze nutritive più semplici ed assorbibili, acidi grassi a catena corta e vitamine, minerali numerose altre molecole, derivate dal loro metabolismo – questo meccanismo viene definito Second meal effect.

All’origine di epatiti non alcoliche può essere un’alterazione della flora intestinale: mangiare troppa frutta che non viene completamente assorbita la fa giungere all’intestino dove viene fermentata con produzione di etanolo.

L’imprinting dell’alimentazione dei primi anni di vita è fondamentale per la predisposizione alle malattie future cui va incontro il bambino.
Mangiare maggiori quantità di vegetali favorisce la presenza di un sano microbiota.

Le persone obese possiedono il 20% in più di Firmicutes a fronte di un 90% in meno di Batteriodi rispetto alle persone normopeso; con una alimentazione a basso contenuto di carboidrati e grassi, gli individui obesi possono ridurre il loro peso riportando i valori dei Batteroidi verso la giusta normalità con un loro rialzo e con una riduzione dei Firmicutes; maggiore è il peso perso con una sana alimentazione e maggiore è l’aumento dei primi rispetto ai secondi nell’intestino. Le modulazioni persistenti del microbiota hanno mostrato dei vantaggi importanti anche nel mantenimento del corretto peso a seguito di un processo di dimagrimento tuttavia il microbiota di un soggetto obeso (studio sui topi) conserva la “memoria” dell’obesità così faticosamente perduta a seguito di una dieta, accelerando il ritorno all’eccesso di peso, una volta che si abbandona la dieta prescritta.

Studi recenti su obesi hanno confermato l’effetto benefico dei prebiotici sui livelli glicemici, lipidici e sui markers infiammatori; evidenze crescenti suggeriscono che il microbiota intestinale possa contribuire ad iniziare l’infiammazione low-grade che caratterizza questi disturbi metabolici attraverso meccanismi collegati a disfunzione della barriera intestinale (forte aumento della permeabilità per diminuzione resistenza elettrica dopo esposizione a citochine proinfiammatorie).

Proprio in seguito all’osservazione delle modificazioni a carico della flora batterica degli obesi a seguito del dimagrimento, si è supposto che tali soggetti potrebbero trarre giovamento dai trapianti fecali quindi da una modificazione del loro microbiota che viene effettuata grazie ad infusioni da donatori magri.

È stato evidenziato un miglioramento della sensibilità insulinica ed un incremento di acidi grassi a catena corta. Con questa operazione si sono anche ottenute importanti guarigioni nelle forme di infezione da C. difficile, che provocano un’importante diarrea e non sono sensibili agli antibiotici.
Dopo il dimagrimento è importante imparare a mangiare bene piuttosto che seguire per un periodo una dieta rigida, poiché non si tratta solo di mangiare “poco” ma di migliorare l’efficienza energetica dell’organismo stesso. Durante il digiuno, con l’esaurimento delle scorte di glicogeno, il fegato inizia a produrre corpi chetonici a partire dai grassi – questi ultimi migliorano il funzionamento dei mitocondri e ne stimolano ulteriore produzione, con maggiore sintesi di energia e ridotta formazione di radicali liberi: il miglioramento dell’efficienza energetica e la riduzione dello stress ossidativo riduce il danno a strutture cellulari quali DNA, proteine, lipidi ed enzimi, rallentando gli effetti negativi di invecchiamento e malattie.

La Dieta mediterranea (DMD) è un regime alimentare pesco-vegano che induce nelle cellule una modalità di protezione dall’invecchiamento, induce la rigenerazione delle cellule attraverso la bonifica delle componenti danneggiate o l’eliminazione delle stesse cellule danneggiate e la loro sostituzione grazie all’attivazione delle cellule staminali e non riduce la massa muscolare mentre attiva un processo di lipolisi che tende a mantenersi alla ripresa dell’alimentazione normale. Si può consigliare ogni 6-8 mesi per le persone sane, ogni 2-3 mesi per le persone interessate da patologie infiammatorie di varia natura, e ogni mese per gli obesi. È una dieta molto sostenibile perché si mangia poco e spesso, evitando i picchi glicemici assumendo quasi solo verdure.

La dieta mediterranea è stata incoronata come la migliore in assoluto per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.

Ad oggi sta aumentando l’interesse nei confronti dell’alimentazione ed il microbiota intestinale anche per quanto riguarda la sua possibile interazione con diverse patologie: è possibile che i nutrienti abbiano effetti diretti sulla produzione e la regolazione di neurotrasmettitori? Si è osservato che disturbi dello spettro autistico migliorano se si segue una dieta priva di glutine e caseine, mentre l’epilessia e le emicranie giovano di una dieta chetogenica. L’Alzheimer viene ad oggi considerato una sorta di diabete di tipo 3, e si è osservata l’importanza dell’alimentazione nelle patologie neurodegenerative che coinvolgono la memoria e pure nel Parkinson.

Con la somministrazione di una dieta pesco-vegana si osservano dei benefici anche nei casi di intolleranza, per esempio quella al glutine oppure al nichel: le persone si sentono subito meglio con riduzione del gonfiore e del malessere generale che si presenta, ed in seguito si può tentare di reintrodurre tali alimenti in maniera graduale.

I dolcificanti artificiali sembrano causare intolleranza al glucosio alterando il microbiota, pertanto non aiutano nella perdita di peso anzi stimolano i recettori del gusto e li abituano a gusti dolci che solitamente saziano a differenza di quelli salato.

Conclusioni

Durante la vita le nostre scelte alimentari e il nostro stile di vita possono modificare il nostro stato di salute o di malattia; variare i cibi, seguire la stagionalità e ripensare al nostro modo di alimentarsi può avere effetti importanti sulla salute nostra e dell’ambiente. La modulazione della dieta risulta una via fondamentale per il mantenimento o il recupero dello stato di salute, decisamente più fisiologica di qualunque approccio farmacologico.
Anche l’impatto ambientale non va sottovalutato: i cibi che si dovrebbero consumare meno sono anche quelli che sono meno eco-friendly.

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